Da: Farmaco Economia - Anno VII - n° 1

I possibili scenari della devolution sanitaria


P. Camboa -
Responsabile Agenzia Formativa - Az. USL Lecce 12 - Maglie
U Cavalera - Sociologa - Az. USL Lecce 12 - Maglie
P. Piscitelli - Scuola di specializzazione in Igiene e medicina preventiva, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

 

"Solo una cosa è negata anche a Dio: cancellare il passato" (Agatone, V sec. A.C.)

"Non sapere che cosa sia accaduto prima della tua nascita, sarebbe per te come restare per sempre un bambino" (Cicerone, 106-43 a.C.)

"Nella storia ci sono eventi misteriosi, ma mai insensati " (V.S. Solov'ëw, 1853-1900)

 

La sanità italiana ha sempre detenuto una posizione di assoluto privilegio tra i vari stati occidentali, nonostante le profonde trasformazioni subite, anche in tema di modello di riferimento; infatti, con la legge 833/78, in Italia si opera il passaggio dal modello sanitario bismarckiano (assicurativo sociale) a quello beveridgiano (liberate), ma i risultati in tema di stato di salute della popolazione si mantennero molto elevati. Tale stato di fatto conferma la teoria enunciata dal prof. Francesco Longo nel corso del "Congresso sulle cure primarie" (Reggio Emilia, 25-26 ottobre 2002), in base alla quale si afferma che la "bontà" di un sistema sanitario non dipende dal modello di riferimento, ma dalla sua qualità, in termini di "efficacia a di efficienza" (ricerca delle priorità a capacità di allocazione delle risorse).

Personalmente, ritengo di dover aggiungere che i migliori risultati sono stati ottenuti quando le scelte di politica sanitaria sono state affrontate con il supporto "tecnico" delle società scientifiche. L'attuale fase di passaggio al cosiddetto "federalismo sanitario" presenta una serie di grosse criticità, che devono essere affrontate con la massima attenzione, al fine di evitare la comparsa di servizi sanitari regionali a differente impatto sullo stato di salute delle popolazioni di riferimento. In tal senso, si auspica che occasioni di confronto costruttivo, come quelle offerte dalle pubblicazioni e dai convegni nazionali sulfa sanità ed, in particolare, sui Distretti sanitari, possano rappresentare, per le Regioni, un preciso punto di riferimento per sviluppare progetti formativi ad ampio respiro, con la possibilità di illustrazioni comparative di esperienze realizzate nei vari contests regionali, allo scopo di armonizzare i servizi nella logica dell'ottimizzazione delle risorse a della centralità del cittadino.


Dall'unità d'Italia alla legge 833/78

La sanità italiana ha storicamente detenuto una posizione di assoluto privilegio nel contesto internazionale; infatti, G. Cosmacini ci ricorda come, già a partire dal XIV secolo, le "Magistrature di Sanità" italiane avevano dimostrato il loro primato in Europa, adottando importanti provvedimenti nella lotta contro le epidemie; nel corso dei secoli successivi, tuttavia, tale primato venne perduto a il nostro livello sanitario si assestò su livelli molto bassi, al punto che, subito dopo l'unità, il grande medico clinico romano Carlo Maggiorani, in un discorso al Senato tenuto il 12 marzo 1873, dichiarava : "... la tisi, la scrofola, la rachitide tengono il campo più di prima; la pellagra va estendendo i,suoi confini; la malaria, co' suoi tristi effetti ammorba gran parte della penisola... la sifilide serpeggia indisciplinata tra i cittadini ed in ispecie tra le meilizie... il vaiolo rialza il capo... la difterite si va diffondendo ogni giorni di più..."

Da quel giorno, però, il nostro Paese dimostrò di essere in grado di riprendere il suo vecchio ruolo di primato a livello internazionale in tema di sanità pubblica, utilizzando il sistema legislativo per porre in atto provvedimenti che modificarono sostanzialmente il desolante quadro  descritto da Carlo Maggiorani.

In realtà, un pregevole lavoro di R. Soro ci informa che il primo grande provvedimento del governo era stato già adottato, con l'istituzione su tutto il territorio nazionale della gloriosa figura del medico condotto (1865), di cui il Carducci, ricordando il padre, diceva: "Arte più misera, arte più rotta non v'è del medico che va in condotta... "; ma allora il medico condotto esisteva da noi solo nel Granducato di Toscana e nel Lombardo Veneto. Solo nel 1865, dopo l'unificazione del Regno d'Italia, in ottemperanza alle indicazioni della legge Rattazzi del 1859, l'istituto della condotta viene esteso a tutto il Paese.

Sempre citando Soro, ricordiamo che il medico condotto cominciò ad essere presente in quasi tutti i Comuni italiani, non solo con i compiti di ufiiciale sanitario, ma anche per estendere la possibilità di cura a chi, essendo povero, non poteva permetterselo.

Fu in questo modo che comparve la figura del medico di famiglia, aperto a tutte le realtà individuali e sociali. L'elevata mortalità infantile, le precarie condizioni igieniche, le malattie infettive, le carenze alimentari, obbligarono il medico, spesso unico operatore di salute, con scarse possibilità di ricorrere all'ospedalizzazione, con una scienza medica in fase di evoluzione, ma disarmato da un punto di vista terapeutico, ad un lavoro generoso e sofferente, che qualche volta guariva, dava spesso sollievo, consolava sempre (R. Soro).

Comunque, nel 1882, le "condotte" erano presenti in 7.500 degli oltre 8.000 Comuni italiani ed erano ritenute un presidio sanitario più valido dell'ospedale. Allora era pensiero comune che l'ospedale rallentasse i legami familiari a segregasse i ricoverati, oltre al fatto che curarsi a casa costava meno (R. Soro).

La grande epidemia di colera del 1884 ne è un significativo esempio, se si pensa cosa si potesse fare allora, se non consolare gli infermi, in una lotta senza difesa contro la natura (R. Soro).

In Italia lo Stato intervenne per la prima volta per la tutela dei lavoratori con l'istituzione della Cassa nazionale di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (1883), con il difetto però di essere a quasi totale carico dei lavoratori a volontaria, per cui dopo sette anni erano assicurate solo 120.000 persone; non si ebbero leggi sulla tutela del lavoro dei minori fino al 1886, non si teneva conto dell'infanzia abbandonata, dei malati di mente, degli handicappati. Furono i medici, tutti i medici, a porre in prima linea questi problemi, come indice della capacità di influire sulle decisioni politiche.

L'Associazione Medica Italiana, costituita nel 1862, richiamava i governi ad una maggiore attenzione sulla grave situazione sanitaria; questa incessante azione di stimolo fu alla base della storica legge Crispi-Pagliani, che rappresentò, in pratica, la prima vera legge di riforma sanitaria. Tale provvedimento, promulgato dal Parlamento come legge 22 dicembre 7888, n. 5849 dal titolo "Sulla tutela dell'igiene a della sanità pubblica", creava per la prima volta gli strumenti necessari a garantire una gestione tecnicamente corretta della sanità pubblica. Essa istituiva, infatti, a livello centrale, la "Direzione generale di sanità", quale organismo armonizzatore tra potere politico a sapere scientifico; a livello intermedio, la figura del "Medico provinciale" e, a livello comunale, quella dell' "Ufficiale sanitario". In tal modo la legge Crispi assicurò la creazione sull'intero territorio nazionale di una rete articolata di figure professionali a di servizi in grado di soddisfare non solo i bisogni di salute dei cittadini, ma anche il rispetto delle norme igieniche contro la diffusione delle malattie infettive, provvedimento essenziale in un Paese nel quale i principali indicatori di "malasanità" erano rappresentati dalla mortalità infantile a da quella per malattie infettive. Nel ventennio successivo all'introduzione della legge Crispi, la popolazione italiana cresceva di oltre cinque milioni di abitanti, superando i 35 milioni nel 1911 (Fig. 1); nel contempo, la mortalità generale, oscillante intorno al 3% nei primi due anni postunitari, scendeva al 2% nei primi anni del Novecento, quando (1907) il governo Giolitti licenziò il primo "Testo Unico delle Leggi Sanitarie ", provvedimento "tecnico" di grande spessore, elaborato sulle indicazioni dell'igienista Rocco Santoliquido.

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In quegli anni, intanto, sorgevano in tutta Italia le società e le confraternite di mutuo soccorso, per dare un aiuto a tutti coloro che ne avessero bisogno; il medico era chiamato a collaborare a queste iniziative, assumendosi una responsabilità curative ed assistenziale e non tanto una contropartita economica.

Nel corso del primo dopoguerra, la sanità italiana riprese la sua grande corsa innovativa, al punto da collocarsi in una posizione di primato europeo, sul piano dells sanità pubblica, in seguito alla pubblicazione del secondo "Testo Unico delle Leggi Sanitarie" (regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265), provvedimento di politica sanitaria di grande spessore e significato sanitario, sociale e culturale. Il TULS in oggetto, al titolo I, capo I, art. 4, prevede che: "All'assistenza medico-chirurgica ed ostetrica gratuita per i poveri nell'ambito del territorio del Comune, alla somministrazione gratuita dei medicinali ai poveri e all'assisteuza veterinaria ai luoghi nei quali ne è riconosciuto il bisogno, quando non siano assicurate altrimenti, provvedono i Comuni. È fatto divieto di istituire condone sanitarie per la generalità degli abitanti. I sanitari condotti hanno, tuttavia, l'obbligo di prestare la loro opera anche ai non aventi diritto all'assistenza gratuita, in base alle speciali tariffe all'uopo proposte per ciascuna provincia dalla associazione sindacale giuridicamente riconosciuta competente per territorio,a approvate dal prefetto".

In base alle norme dettate dal TULS, per tutto il periodo antecedente la legge di riforma sanitaria (legge 833/78), le attività territoriali di igiene a profilassi a di assistenza sanitaria furono articolate in periferia fino al livello comunale a rimasero affidate, rispettivamente, all'ufficiale sanitario a al medico condotto, il quale, in qualità di dipendente comunale - ed in collaborazione con l'ostetrica condotta -, garantiva l'assistenza ai cittadini in situazione di indigenza, mentre la restante parte di popolazione poteva fare affidamento alle cosiddette casse malattie. L'inizio delle moderne attività del medico di medicine generale (MMG) deve esser fatto risalire al secondo dopoguerra, quando vennero istituiti gli enti previdenziali assicurativi per l'assistenza contro le malattie, in genere suddivisi per categorie di lavoratori; in tal senso, il più importante fu certamente l'INAM (Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro le Malattie), ente pubblico istituito con legge 11 gennaio 1943, n. 118. Tale ente, che prese il nome di INAM con D.L. 13 maggio 1947, n. 435, gestiva l'assicurazione obbligatoria dei lavoratori (e dei rispettivi familiari) dei settori dell'agricoltura, industria, commercio, credito, assicurazioni, servizi tributari appaltati, nonché degli addetti ai servizi domestici, degli apprendisti e dei pensionati di invalidità a vecchiaia. L'INAM provvedeva all'assistenza sanitaria fornendo ai cittadini assistiti prestazioni medico-generiche ambulatoriali e domiciliari, ospedaliere, farmaceutiche, ostetriche e integrative. Fino all'entrata in vigore della legge 833, pertanto, nel nostro Paese il servizio di assistenza sanitaria rimase di tipo bismarckiano (assicurativo sociale) e, attraverso vari enti previdenziali, esso garantiva una copertura assistenziale pubblica a tutti i cittadini; esso, tuttavia, presentava alcuni grossi limiti - se non vere a proprie ingiustizie sociali (difetto di equità) -, dovuti alla contemporanea presenza di 3 differenti opportunità (livelli) assistenziali:

1. Un'assistenza a quota capitaria per la maggior parte della popodazione assistita (INAM).

2. Un'assistenza "a notula", per prestazioni ambulatoriali a domiciliari, le quali ultime differenziate in feriali (ordinarie a notturne) e festive (esempio, ENPAS). Tale tipologia di assistenza escludeva, inoltre, il principio del rapporto di fiducia, consentendo all'assistito di poter scegliere, di volta in volta, il medico al quale affidare la gestione della salute propria o dei propri familiari.

3. Un'assistenza di tipo solidaristico, a carico del Comune ed erogata dal medico condotto ai cittadini in stato di indigenza.

A tale proposito, è opportuno tornare a ripetere che le origini del budget del medico di mediciua generale possono esser fatte risalire proprio al medico condotto, i costi della cui attività prescrittiva erano a carico dell'Amministrazione comunale; non di rado, infatti, il Sindaco convocava il medico condotto, richiamandolo ad un'attività compatibile con le risorse finanziarie messe a disposizione della specifica voce dell'assistenza ai cittadini in stato di indigenza, in sede di stesura del bilancio comunale di previsione.

Nella successiva Tabella 1 vengono riassunti i provvedimenti legislativi più significativi in tema di assistenza sanitaria emanati a partire dall'Unità d'Italia a fino all'adozione della grande legge di riforma sanitaria (833/78).

Tabella 1 – Provvedimenti legislativi in tema di AST

nel periodo 1859 – 1978

  • Legge Rattazzi (1859): estensione a tutta italia dell’istituto della Condotta Medica (1865), fino ad allora limitata al Granducato di Toscana ed al Lombardo Veneto.
  • Legge Crispi (legge 22 dicembre 1888, n.5849) “Sulla tutela dell’igiene e della sanità pubblica”: istituzione della rete di sanità pubblica.
  • Primo “Testo unico delle leggi sanitarie”  (1907)
  • Secondo “Testo unico delle leggi sanitarie”  approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n.1265: tra le norme ed i principi in esso contenuti, è di particolare importanza il regolamento di organizzazione e gestione dell’assistenza sanitaria in ambito comunale (Titolo I, Capo I, art. 4).
  • Legge 11 gennaio 1943, n. 118 e D.L. 13 maggio 1947, n 435: istituzione dell’INAM, Ente pubblico per l’assicurazione obbligatoria e l’assistenza sanitaria dei lavoratori (e dei loro familiari) dell’agricoltura, industria, commercio, assicurazioni, credito, servizi tributari, servizi domestici, apprendisti e pensionati di invalidità e vecchiaia 

Nel secondo dopoguerra, il sistema sanitario italiano si distinse tra i migliori del mondo, nonostante fosse stato realizzato su un modello già operante da oltre mezzo secolo in Germania a Francia.

 

Dalla legge 833 al federalismo sanitario

La legge 833/78 segnò una svolta epocale nell'assistenza sanitaria italiana, decretando il passaggio da un sistema di tipo assicurativo sociale (bismarckiano) ad un sistema di tipo liberale (beveridgiano) a modulandosi sul modello del NHS inglese, che aveva visto la luce ben 30 anni prima.

A questo punto, è necessario fare una riflessione: come mai i nostri governanti decisero di compiere questa vera a propria "rivoluzione sanitaria", dal momento che, nel periodo antecedente la riforma, il nostro sistema sanitario si caratterizzava come uno tra i migliori servizi nel proscenio internazionale? Probabilmente, la causa principale di questa scelta epocale fu legata alla valutazione dei già citati in punti di debolezza del sistema:

1. La presenza di tre differenti livelli di assistenza nei confronts dei cittadini:

a. una forma di assistenza a quota capitaria (esempio, INAM);

b. una forma di assistenza di tipo solidaristico sociale, assicurata dal medico condotto nei confronts dei cittadini indigents residents nel territorio comunale di competenza. A proposito della figura del medico condotto, ad essa può essere ricondotta una forma "ante litteram" di attribuzione di budget, dal momento che, per l'assistenza ai cittadini indigents, il medico condotto doveva concordare con il Sindaco la quotaparte di bilancio comunale destinata a tale compito;

c. una forma di assistenza "a notula" (esempio, ENPAS), caratterizzata dal diritto per l'assistito di scegliere, di volta in volta, il medico dal quale farsi curare, mediante la consegna di un "bonus assistenziale", indicativo del tipo di prestazione ricevuta, ai fins della retribuzione del medico.

2. Il mancato rispetto del principio fondamentale del rapporto di fiducia tra medico ed assistito, dal momento che gli assistiti "a notula" (esempio, ENPAS) avevano la facoltà di poter scegliere, di volta in volta, il medico al quale rivolgersi.

3. La necessità di introdurre nel sistema un nuovo elemento (la concorrenza), in grado di fungere da stimolo per il miglioramento continuo della qualità dei processi assistenziali.

A partire dalla legge di Riforma Sanitaria (n. 833/78), i principali provvedimenti legislativi inerenti PAST e il Distretto sono sintetizzati nella successiva Tabella  

Tabella 2  - Provvedimenti legislativi in tema di assistenza sanitaria

dal  1978 ad oggi

  • La Legge 833/78:: istituzione del Distretto, quale articolazione dell'USL, definito come "stuttura tecnico-funzionale per l'erogazione dei servizi di primo livello e di pronto, intervento" (art. 10).
  • I Decreti legislativi 502/92 a 517/93: il Distretto si inserisce nel processo di aziendalizzazione
    come struttum cardine finalizzata ad assicurare la funzione di filtro della domanda sanitaria a di integrazione orizzontale e vrticale
  • Il Piano sanitario nazionale 1998/2000: il Distretto viene definito come "Centro di servizi e prestazioni dove la domanda è affrontata in modo unitario e globale".
  • Il Decreto Legislativo 292/99 (decreto Bindi): il Distretto diviene "struttura forte", dotata di autonornia gestionale e contabilità separata in un sistema aperto, formato da tre macrostrutture - Distretto, dipartimento di prevenzione ed ospedale.
  • La Legge 328/2000: integrazione socio-sanitaria dei processi assistenziali in una logica di programmazione integrate tra Aziende sanitarie ed Enti locali.

I suddetti provvedimenti legislativi hanno segnato le tappe fondamentali della sanità italiana ed, in particolare, del Distretto, dalla sua nascita al successivo sviluppo, che tuttora si presenta in fase di tumultuosa evoluzione e di perfezionamento.

La legge 833/78, con l'istituzione del SSN, ha segnato il momento del distacco da un modello di assistenza sanitaria di tipo mutualistico assicurativo sociale (bismarckiano) ad uno di tipo liberale (beveridgiano), sulla falsariga di quanto avvenuto nel Regno Unito, nel quale l'NHS era stato istituito fin dal 1948, licenziato dal Governo Attlee, in base alle teorie di Lord William Beveridge of Tuggal, convinto assertore della necessità di costruire una rete di servizi in grado di assicurare ai cittadini un'assistenza sanitaria "from che cradle to the grave" (dalla culla alla tomba). Uno dei (tanti) grandi meriti della legge 833 è rappresentato dall'istituzione della figura del Pediatra di Libera Scelta (PLS), che diventa lo "strumento" fondamentale delle cure primarie in età pediatrica.

Con i D.Lgs. n. 502 a n. 517, i Distretti diventano effettivi su tutto il territorio nazionale e con il D.Lgs. n. 229 acquistano (in teoria) pima autonomia gestionale e contabilità separata; tuttavia, il quadro della situazione si presenta notevolmente polimorfo nelle varie regioni ed un tipico esempio ne è fornito dai requisiti per l'accesso alla nomina di direttore di Distretto

Tabella 3 - Requisiti del Direttore del Distretto nelle Regioni italiane

(al 25 maggio 2001)

  • Medico: Abruzzo, Basilicata, Campania, Lazio, Sicilia
  • Dirigente sanitario: Marche, Umbria
  • Dirigente laureato: Friuli Venezia Giulia, Lombardia. Molise, Piemonte, Puglia
  • Dirigente: Emilia Romagna, Liguria, Toscana, Veneto,Valle d'Aosta, Provincia autonoma di Trento
  • Responsabile sanitario: Calabria, Sardegna, Provincia autonoma di Trento
  • Responsabile sanit. affiancato da un resp. amministrativo: Calabria, Sardegna, Provincia autonoma di Bolzano

 
Il Contesto sanitario internazionale

Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è lo strumento utilizzato dallo Stato per assicurare il diritto alla salute dei propri cittadini. Il Prof. Gualtiero Ricciardi, direttore dell'Istituto di Igiene dell'UCSC di Roma, raggruppa i SSN in 3 modelli principali:

- I SSN di tipo "bismarckiano ", ovvero assicurativo sociale (Francia, Germania). Il principe Otto von Bismark-Schönhausen (18151898) fu probabilmente il più grande statista tedesco; cancelliere di Guglielmo I dal 1862, fu il grande artefice dell'unificazione tedesca (1871). Tra i suoi provvedimenti, Bismark promosse l'adozione delle riforme sociali in favore dei ceti più bisognosi (1883-1885), dando vita al primo sistema di Previdenza sociale europea, mirato a proteggere il lavoratore e la sua famiglia da rischi quali la malattia, l'invalidità e la disoccupazione. Il sistema previdenziale bismarkiano, finanziato direttamente dai lavoratori, con l'intervento integrativo dello Stato nei casi di indigenza, era talmente perfetto, che sopravvive tuttora assolutamente immodificato in Alsazia e nel dipartimento di La Moselle (Lorena). Esso ebbe, inoltre, una vasta diffusione in ambito europeo e in tal senso giova ricordare che anche il nostro servizio di assistenza sanitaria è rimasto di "tipo bismarkiano" fino al 1978, quando esso, con la legge di riforma sanitaria (legge 833/78), si modellò sul NHS inglese, di "tipo beveridgiano".

- I SSN di tipo "beveridgiano ", ovvero liberale (UK, Italia). William Henry Beveridge of Tuggal (18791963), economista e uomo politico inglese, fu rettore della London School of Economics e del College universitario di Oxford. Beveridge sposò il concetto keynesiano del Welfare State (sebbene non ne amasse il termine). Beveridge affermò che lo Stato doveva mirare al benessere sociale di tutti i cittadini combattendo quelli che egli definiva i "giganti malefici" (bisogno, ignoranza, malattia, vecchiaia e squallore). In tal senso, fu il creatore di un piano (Piano Beveridge) per l'assistenza sanitaria totale a gratuita "from the cradle to che grave" (dalla culla alla tomba), che in Gran Bretagna fu messo in atto dal governo Attlee con l'Heath Act nel 1948 (istituzione del NHS). Il National Health Service incontrò la forte resistenza dei medici, che in esso vedevano una minaccia contro la loro autonomia professionale, dal momento che, per la prima volta, veniva inserito, nell'ambito dei servizi di assistenza sanitaria, il principio della "sostenibilità economica", che doveva creare un sincretismo con il principio della "gratuità delle cure per tutta la popolazione". In altri termini, venne introdotto il "principio del minimo mezzo ", in base al quale il migliore livello di gestione dell'interesse pubblico è quello più basso e si sale di livello solo quando è necessario. Inoltre, in una visione tipicamente liberale, l'altro problema introdotto da Beveridge fu quello dei rapporti tra Stato e società e tra pubblico e privato, il cui intervento nel sistema contribuisce al miglioramento della qualità assistenziale in seguito all'attivazione di meccanismi di "competitività virtuosa".

- I SSN di tipo "Wild West", ovvero "pseudo-pubblici", con assistenza sanitaria pubblica garantita solo in modo parziale a settoriale, perché limitata solo a pochi (e parziali) aspetti assistenziali ed a ristretti ambiti sociali della popolazione (USA). Inoltre, l'amministrazione Bush ha ulteriormente ridotto il finanziamento pubblico dei servizi assistenziali gratuiti per la popolazione anziana e in stato di indigenza (Medicare a Medicaid), per cui, per usare una terminologia a noi molto nota, possiamo affermare che si tratta di sistemi sanitari pubblici che, non assicurando in linea di principio le garanzie minime di natura assistenziale, escludono la possibilità di assicurare la piena fruizione del diritto alla salute da parte di tutti i cittadini (altro che "livelli essenziali di assistenza!").

Dopo aver sommariamente descritto i modelli di riferimento dei SSN, ci si pone il problema di quale, tra essi, possa produrre, in linea teorica, il miglior impatto sulla salute della popolazione e, nello stesso tempo, essere considerato il più efficiente (in termini di "utilità economica", espressa come rapporto tra prestazioni garantite in base alle risorse assegnate o impiegate).

In realtà, questo tipo di approccio, quasi dogmatico, è assolutamente improponibile, dal momento che non ha senso, in assenza di dati oggettivi, pensare di costruire "idealmente" un rapporto fra 2 parametri "quantitativi" (efficacia ed economicità) ed un concetto (il modello di riferimento del SSN), del quale possono essere descritte solo le caratteristiche qualitative.

Un'attendibile stima probabilistica sui livelli di impatto legati ai modelli può esserci fornito solo da un esame comparato generale tra:

- Risorse economiche impegnate, espresse in termini di incidenza percentuale sul PIL.

- Stato di salute della popolazione, espresso tramite i principali indicatori (esempio, mortalità).

- Requisiti di qualità, espressi soprattutto in termini di equità, di accessibilità a di accettabilità, ai livelli essenziali di assistenza assicurati.

Sulla base di tali premesse, occorre fare due considerazioni preliminari

1. Qualità dei SSN: un'indagine effettuata dall'OMS sulla qualità dei servizi sanitari nel mondo, ha messo in evidenza che i primi due posti di questa classifica, in termini di "accessibilità", sono occupati dal SSN francese (di tipo bismarckiano) a da quello italiano (di tipo beveridgiano).

2. Impegno di risorse: l'incidenza percentuale della spesa sanitaria sul PIL si dimostra più alta per i SSN a modello bismarckiano rispetto a quella dei SSN a modello beveridgiano (in tal senso, i dati OCSE riferiti al 1998 dimostrano un impatto medio rispettivamente del 9,1 a del 7,6%); tale tendenza è dimostrata dal confronto tra il SSN francese e quello italiano, che vede un impatto della spesa sanitaria sul PIL del 9,5% in Francia e dell'8,4% in Italia (dati OCSE, 1998). Inoltre, sempre in riferimento ai dati OCSE relativi al 1998, un confronto tra due SSN costruiti su uno stesso modello (Francia a Germania) dimostra che esiste una notevole differenza in termini di impatto della spesa sanitaria sul PIL (9,5% in Francia a 10,6% in Germania).

Sulla base di tali considerazioni, si possono trarre alcune stimolanti conclusioni:

I . La qualità di un SSN non dipende dal modello di riferimento, ma dalla sua capacità di adattamento dinamico allo stato di salute della popolazione, che consiste in una prima fase di definizione dei bisogni dei cittadini (momento della rilevazione epidemiologica) e nella successiva costruzione di un sistema di prestazioni e di attività assistenziali in grado di fornire risposte appropriate (momento delle scelte di politica sanitaria).

2. A parità di modello utilizzato, la qualità di un SSN non è funzione diretta delle risorse economiche impegnate, ovvero non esiste ua rapporto di proporzionalità lineare diretta tra risorse economiche e qualità. Quest'ultima conclusione ci offre una possibilità di tutela rispetto alle fosche prospettive di servizi sanitari regionali a differente velocità "generati" dalla "devolution sanitaria".

Nelle successive Tabelle, vengono presi in esame vari confronti tra modelli di SSN, in relazione ai principali requisiti della qualità (in termini di equità, di accessibilità a di accettabilità) ed ai costi (percentuale di incidenza della spesa sanitaria sul PIL).

 

Tabella 4 - Confronto tra i modelli di SSN

 

Bismarckiano

Beveridgiano

Wild west

Impatto

Pubblico

 

 

Metodo

Assicurativo pubblico (mutualistico)

Liberale (competizione pubblico-privato)

Assicurativo privato Assicurativo pubblico "parziale" (esempio Medicare)

Equità (LEA)

+++

++ -

- - -

Accessibilità

++ -

+++

++ -

Accettabilità

+++

+++

- - -

Incidenza della Spesa sanitaria sul PIL

Medio alta

Medio bassa

Molto elevata

 La Tabella 4 prende in esame un confronto, del tutto teorico, sui possibili impatti dei tre modelli di SSN. Nella successiva Figura 2, viene visualizzato il confronto tra l'incidenza percentuale della spesa sanitaria in Italia e il PIL rispetto al valore medio dei Paesi a sistema beveridgiano nel periodo 1990-2000 (gli anni sono citati con numerazione progressiva da 1 a 10; mancano i dati riferiti al 1999).

In tale contesto, in base alle ripartizioni del finanziamento per comparti, la voce relativa all'assistenza farmaceutica dovrebbe incidere sulla spesa sanitaria complessiva per un valore massimo pari al 13%, ma tale obiettivo è ben lungi dall'essere realizzato, sia per le tendenze epidemiologiche, sia per la grave carenza di studi di costo sociale delle malattie in Italia, la cui realizzazione potrebbe contribuire, da un lato, a facilitare la costruzione dei budget dei medici di famiglia e, dall'altro, a promuovere studi analitici di tipo epidemiologico sull'efficacia a sull'economicità di differenti modalità di approccio alle malattie, ivi comprese la sperimentazione clinica dei farmaci.

 

TABELLA 5 - Spesa sanitaria in termini di incidenza % sul PIL nei Paesi della UE a SSN di tipo "bismarckiano' (dati OCSE)

PAESE

1990

1991

1992

1993

1994

1995

1996

1997

1998

2000

Austria

7,2

7,2

7,6

8,1

8.1

8,9

8,9

8,2

8,2

8,3

Belgio

7,4

7,8

7,9

8,1

7.9

8,2

8,6

8,6

8,8

nd

Francia

8,8

9,0

9,2

9,7

9,6

9,7

9,7

9,5

9,5

nd

Germania

8,7

9, I

9,7

9,7

9,8

10,2

10,6

10,5

10,6

10,5

Olanda

8,8

9,0

9,4

9,4

9,2

8,9

8,8

8,6

8,6

nd

Media

8,2

8,4

8,7

9,0

8,9

9,2

9,3

9,1

9,1

9,4

 





TABELLA 6 - Spesa sanitaria in termini di incidenza % nei Paesi della UE a SSN di tipo "beveridgiano' (dati OCSE)

PAESE

1990

1991

1992

1993

1994

1995

1996

1997

1998

2000

Italia

8,1

8,4

8,5

8,6

8,4

8,0

8,1

8,4

8,4

8,4

Danimarca

8,4

8,3

8,4

8,7

8,5

8,2

8,3

8,2

8,3

8,3

Finlandia

7,9

9,0

8,3

8,3

8,3

8,3

8,3

8,5

8,3

nd

Irlanda

7,0

7,4

7,8

7,8

7,7

7,4

7,2

7,0

6,4

nd

Portogallo

6,4

7,0

7,2

7,5

7,5

7,7

7,7

7,0

7,1

nd

Spagna

6,9

7,0

7,4

7,6

7,4

7,0

7,1

7,0

7,1

nd

Svezia

8,8

8,7

8,8

8,9

8,6

8,4

8,7

8,5

8,4

nd

UK

6,0

6,4

6,9

6,9

7,0

7,0

7,0

6,7

6,7

7,0

Media

7,5

7,8

8,0

8,1

7,9

7,7

7,8

7,7

7,6

7,9

 

 

 

Tabella 7 - Incidenza % su PIL sella spesa sanitaria in Italia e Francia

Paese

1990

1994

1998

Francia

8.8

9,6

9,5

Italia

8,1

8,4

8,4


L'incidenza % sul PIL della spesa sanitaria italiana è più bassa di quella francese, sebbene in entrambi i casi si tratti di percentuali di impatto tra le più alte in Europa .

 

Tabella  - Incidenza % su PIL sella spesa sanitaria in Germania e Francia

Paese

1990

1994

1998

Francia

8.8

9,6

9,5

Germania

9,6

9,8

10,6

 

Il confronto in esame si presta alle seguenti valutazioni:

 

I possibili scenari della "devolution sanitaria"

"Le unioni degli uomini, le loro ragioni, sono determinate da un unico grande scopo: conquistare il diritto ad essere diversi" (V. S. Grossman, 1905-1964).

Nel corso del convegno nazionale "Il Distretto nei Piani sanitari regionali", tenutosi a Roma in data 11-12 novembre 2002, il prof. Francesco Longo ha tenuto una brillante relazione sul tema "I Piani sanitari regionali federali: nuovo neo-centralismo o sviluppo delle aziende?". La sintesi del suo intervento è stata condensata nell'abstract consegnato ai partecipanti al convegno e si articola sui seguenti punti:

1. Gli anni 2001-2002 hanno visto una forte accelerazione del processo di responsabilizzazione regionale in sanità ed un consolidamento culturale, legislativo ed operativo del trasferimento dei poteri dello Stato centrale.

2. I sistemi federali possono nascere per processi di fusione (esempio, UE) o per processi di decentramento (caso italiano): nel primo caso tendono a privilegiare la ricerca di uniformità, nel secondo la ricerca di identità, quindi di diversità.

3. Questa ricerca di identità spiega, almeno in parte, il processo di allontanamento che le Regioni italiane hanno intrapreso in questo periodo dall'architettura istituzionale tradizionale del SSN, lungo traiettorie divergenti tra di loro.

4. In questo clima si spiega come mai il pareggio di bilancio venga spesso proposto come obiettivo politico-istituzionale a non come vincolo (come dovrebbe il realtà essere), perché rappresenta simbolicamente la raggiunta possibilità di definire e costruire una specifica identità nazionale.

5. In questo scenario si collocano i nuovi PSR o progetti di riassetto dei sistemi regionali recentemente proposti e approvati. Nell'ambito dei cinque PSR presi in esame nel corso della relazione, il prof. Longo mette in evidenza come alla base di alcune Regioni (Lombardia, Toscana, Emilia Romagna) esista soprattutto la ricerca di una precisa identità regionale, mentre in altre (Marche, Puglia) prevalga la necessità di rispondere prevalentemente a situazioni di crisi economico-finanziaria. L'analisi comparativa tra i PSR esaminati, consente al prof. Longo di trarre le seguenti conclusioni:

I PSR presi in esame sottolineano un significativo desiderio di generare differenziazioni e identità, che aumenteranno il livello di eterogeneità istituzionale ed organizzativa complessiva nel SSN. L'auspicio implicito è che questo possa migliorare l'uniformità delle performance a degli outcome nel sistema;· complessivamente prevalgono movimenti focalizzati sull'ingegneria istituzionale riproponendo un implicito modello di determinismo istituzionale, che le evidenze storiche non riescono però a sostenere del tutto;

La profonda ed accurata analisi del prof. Longo lascia trasparire il rischio di una reale profonda diversificazione dei modelli regionali di assistenza, con conseguenze anche molto "forti" in termini di impatto sulla salute delle popolazioni; infatti, un'ipotesi di tanti SSR basati su fonti di finanziamento esclusivo "interno" potrebbe produrre significative differenze anche in tema di quota capitaria, come sembrerebbe potersi dedurre, a titolo d'esempio, dall'ipotesi di integrazione della quota di finanziamento di recente proposta dalla Regione Lombardia, che intende allineare la sua spesa sanitaria alla media di incidenza sul PIL rilevata a livello nazionale.

Inoltre, la tendenza ad una profonda diversificazione del SSR, ai fini di un'opinabile "identità regionale" potrebbe produrre una serie di modelli e, di conseguenza, livelli di assistenza profondamente diversi da quelli generati dall'attuale modello di riferimento, nei confronti del quale il prof. Longo giustamente si chiede se esso sia stato sufficientemente sviluppato e se ne siano state tratte tutte le potenzialità, prima di metterlo "in pensione". Un esempio emblematico di tale tendenza alla diversificazione ci è fornito dalla proposta in atto nella Regione Marche di una fusione delle attuali 13 aziende USL in un'unica azienda regionale, fatto questo che provocherebbe una profonda perdita di autonomia dell'azienda USL nei confronti della Regione.

Un ultimo punto che si intende sviluppare è quello relativo alla ventilata ipotesi di reintroduzione, seppure parziale, del sistema mutualistico. In tale prospettiva, occorre evidentemente precisarne il concetto e le possibili forme di intervento. Il prof. A. Piperno afferma che le "mutue" non comportano una spesa a carico del bilancio pubblico, quando si costituiscono su una base puramente volontaristica e garantiscono comunque la partecipazione dei loro aderenti al SSN, in termini contributivi a fiscali, come ogni altro cittadino. L'ipotesi presa in esame dal prof. Piperno è quella di verificare l'impatto sul "benessere collettivo, in termini di efficienza economica e di equità sociale" legato alla reintroduzione parziale di un sistema di tipo mutualistico; in altri termini: "... si intende affrontare il problema se davvero può essere di una qualche utilità  ripescare in termini strategici la mutualità nel contesto odierno della sanità italiana".

È evidente che tale tipo di valutazione non può prescindere dalla natura, dalla forma a dalle dimensioni di questa reintroduzione. A tale proposito, il prof. Piperno parte dalla considerazione che esiste una non indifferente quota di spesa sanitaria sostenuta direttamente ed interamente dai cittadini. In tale contesto, lo studio del prof. Piperno fa riferimento all'indagine multiscopo dell'ISTAT relativa alla situazione del 1994, che mette in evidenza dati molto significativi; infatti, la percentuale di consumi a pagamento dei lavoratori dipendenti a degli autonomi è la seguente:

- visite specialistiche: 62,7 e 66,6%;

- accertamenti diagnostics: 31,3 e 35,7%;

- ricoveri: 1,6 a 14,5%.

Secondo il prof. Piperno: "il dato di sintesi è che, a prescindere dal caso dei ricoveri per cui esiste una consistente differenza tra lavoro autonomo e dipendente in materia di consumi a pagamento, per quanto riguarda la specialistica, sia come visite presso uno specialista che accertamenti diagnostici, i due aggregati sociali mostrano nella sostanza un medesimo comportamento di consumo ".

Ai fini di quest'articolo interessa evidenziare due conclusioni:

1. I consumi privati a pagamento non appaiono una caratteristica comportamentale di un segmento residuale di popolazione, ma coinvolgono tutti i ceti sociali (anche se i loro livelli di consumo a di spesa sono diversi).

2. I consumi riguardano tutti i tipi di prestazione e, soprattutto, hanno a che fare con prestazioni garantite dal SSN e, come tali, già finanziate dalla popolazione tramite il prelievo fiscale a contributivo.

Occorrerebbe interrogarsi a questo punto sul "significato" di questa spesa. La medesima potrebbe dipendere da:

- stato dell' offerta pubblica (se, ad esempio, vi è deficit di servizio pubblico è logico attendersi un incremento di quello privato),

- livello dell'efficienza pubblica (se, ad esempio, esiste un'offerta pubblica, ma è inefficiente, è logico attendersi un incremento del consumo privato);

- attitudini, propensioni a preferenze per il privato a pagamento di per sé (Cerea, 1991).

Tecnicamente, quindi, il problema può essere posto così: la partecipazione al SSN può essere rappresentata come una sorta di copertura assicurativa principale. Rispetto alle prestazioni che questa garantisce, la seconda copertura (quella privata mutualistica in senso lato) può essere distinta in tre tipi:

1. Una mutualità privata sostitutiva: le prestazioni assicurate sono le stesse di quelle della copertura principale del SSN (con aumento della spesa).

2. Una mutualità privata aggiuntiva: le prestazioni assicurate sono le medesime come genere, ma la mutualità privata si limita ad assicurare o la differenza tra il prezzo e la quota di questo pubblicamente garantita (ad esempio, le compartecipazioni), oppure i servizi al contorno della prestazione pubblica (ad esempio, camera a pagamento in ricovero pubblico, scelta del chirurgo, ecc.) (con aumento della spesa).

3. Una mutualità privata complementare: le prestazioni assicurate non sono contemplate tra quelle del SSN (con stabilità delle componenti di spesa) e offre discrete probabilità di un decremento della medesima.

Quanto ad un'agenda di lavoro per il prossimo futuro, l'itinerario appare il seguente:

Le conclusioni del prof. Piperno tendono a dimostrare che la cosiddetta mutualità integrativa, eventualmente finalizzata solo all'acquisizione delle prestazioni sanitarie non riconducibili ai LEA, rappresenta una sorta di "valore aggiunto", che può contribuire al miglioramento del benessere collettivo in termini di efficienza economica e di equità sociale; al contrario, la mutualità privata "aggiuntiva" e quella "sostitutiva" produrrebbero un impatto notevolmente negativo, sia in termini sanitari che, soprattutto, economici.


Conclusioni

L'analisi delle tappe storiche della sanità in Italia mette in evidenza il ruolo da protagonista da sempre recitato dal SSN italiano nel proscenio internazionale.

Il passaggio dal modello assicurativo sociale a quello liberale non è stato traumatico e non ha prodotto quegli effetti collaterali che molti temevano. L'attuale fase di accelerazione di decentramento (cosiddetto federalismo sanitario) potrebbe determinare il rischio di un passaggio ad un sistema "criticamente polimorfo", con servizi sanitari regionali caratterizzati da un differente impatto sullo stato di salute della popolazione di riferimento.

Una profonda differenziazione nella "quantità" di finanziamento ed una forte introduzione della componente assicurativa privata (mutualità privata) possono essere considerate in termini positivi solo se di tipo "integrative" a non di natura "sostitutiva" od "aggiuntiva", perché ciò comporterebbe un lento ma inesorabile scivolamento verso quel modello di servizio sanitario di tipo "Wild West", che rappresenterebbe l'azzeramento istantaneo di tutte le conquiste di equità e di appropriatezza faticosamente ottenute a partire dall'Unità d'Italia. In tale prospettiva, si ritiene necessario individuare un percorso unitario di dialogo e confronto finalizzato alla ricerca di uniformità, come si auspica la CARD, una società scientifica che riunisce le Associazioni regionali dei direttori a dei dirigenti di Distretto.

L'obiettivo principale della CARD è quello di promuovere I'adozione di un modello unitario di Distretto, in grado di assicurare su tutto il territorio nazionale un ottimale processo di "governo (clinico, finanziario e culturale) della domanda, al fine di eliminare gli sprechi, migliorare la qualità dei processi assistenziali e, soprattutto, costruire una rete di servizi sanitari, che rispondano alla missione ultima dell'intero sistema di assistenza, cioè di una sanità a misura d'uomo, la quale, pur rispettando l'ineludibile principio della sostenibilità economica, tenga sempre come obiettivo primario quello di alleviare il dolore e la sofferenza del malato e dei suoi familiari.

In tale logica, la figura del medico di famiglia (MMG-PLS) rappresenta lo strumento principale per assicurare il miglioramento continuo della qualità, dell'appropriatezza e dell' umanità dell'assistenza (governo clinico e culturale), nonché il governo della domanda e, quindi, la sostenibilità economica nell'intero sistema dei processi assistenziali (governo finanziario).

La valorizzazione ed il coinvolgimento diretto del MMG e del PLS nei processi decisionali rappresenta la "sfida" decisiva del direttore di Distretto del terzo millennio.

Un'ultima riflessione, infine, merita il fatto che in Italia le leggi in materia di sanità sono tante, forse troppe; inoltre, in una prospettiva di "devolution sanitaria" non si può non prendere in esame il rischio di Sistemi sanitari regionali a differente impatto sulla salute dei cittadini.

Sulla base di tali considerazioni, riteniamo che allo state attuale sarebbe assai utile l'emanazione di un "Terzo Testo unico delle leggi sanitarie", a distanza di quasi 70 anni da quel regio decreto n. 1265 del 1934, che segnò una tappa fondamentale verso un sistema sanitario nazionale invidiato nel mondo.


Bibliografia

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 Da: Farmaco Economia - Anno VII - n° 1