NOTIZIE SANITARIE SPICCIOLE


03/10/2005 - Infezioni respiratorie
Colesterolo: né troppo né troppo poco

La gran massa degli effetti negativi riportati da una letteratura ormai sessantennale lo ha oscurato completamente, ma un lato buono del colesterolo esiste. Senza colesterolo la stessa struttura cellulare entrerebbe in crisi e non solo di questo si tratta. Oggi uno studio messicano, pubblicato su Chest, viene a (ri)portare alla luce la faccia nascosta del colesterolo. Oggetto dello studio è la tubercolosi, malattia polmonare di estrema gravità che si credeva messa in soffitta, quantomeno nei paesi industrializzati ma che sta ritornando, complici anche gli standard di vita insufficienti di larga parte dei gruppi economicamente svantaggiati. I ricercatori di Città del Messico sono partiti da due constatazioni. La prima, di tipo biochimico, è che il colesterolo è necessario per la funzionalità di macrofagi e linfociti, due classi di cellule immunitarie deputate al contrasto dei microrganismi patogeni. La seconda, di tipo epidemiologico, è la relativa diffusione, tra le persone colpite da tubercolosi, dell'ipocolesterolemia. Una situazione che è anche correlata alla mortalità.

Un apporto giornaliero di 800 mg
Questi i presupposti sui quali si è basato il tentativo di alimentare i pazienti affetti da TBC e da ipocolesterolemia con una dieta ricca di colesterolo, cioè con un apporto di 800 mg al giorno, paragonando i risultati ottenuti con quelli di un gruppo di controllo con una dieta standard (apporto di colesterolo 250 mg/die). Per valutare l'andamento dell'infezione si è preso uno dei parametri fondamentali. Cioè la negativizzazione dello sputo. Infatti nella fase rampante della TBC, il paziente è fortemente contagioso proprio per la presenza del micobatterio nelle secrezioni bronchiali. Ai pazienti di entrambi i gruppi è stata somministrata una terapia a base rifampicina, isoniazide, etambutolo e pirazinamide, cioè il trattamento standard: Nessuno dei pazienti, in totale 21, era affetto da HIV e in nessun caso era stato colpito da micobatteri resistenti a uno più farmaci.

Settimane di ricovero
I risultati hanno confermato l'ipotesi di partenza: nei pazienti a dieta arricchita, lo sputo si negativizzava più rapidamente: a 2 settimane l'80% del gruppo non presentava bacilli nelle secrezioni, contro il 9% del gruppo di controllo. E' vero che i sintomi respiratori sono rientrati in entrambi i gruppi più o meno allo stesso ritmo, ma nel gruppo a dieta arricchita si registrava una minore produzione di secrezioni. Secondo gli autori della ricerca, ce n'è a sufficienza per considerare l'arricchimento di colesterolo una misura adiuvante nel trattamento della TBC. E si propongono di valutare se questa misura possa migliorare anche il trattamento della tubercolosi multiresistente.

Maurizio Imperiali

Fonte
Perez-Guzman C et al. A cholesterol-rich diet accelerates bacteriologic sterilization in pulmonary tuberculosis. Chest. 2005 Feb;127(2):643-51
 

03/10/2005 - Neurologia
Ictus: aumento di peso connesso ad aumento fattori di rischio cardiovascolari
Eccesso di peso ed obesità nei soggetti di razza afroamericana sopravvissuti ad un ictus sono associati al tasso di fattori di rischio vascolari tradizionali. Nel campione considerato, la presenza di diabete ed ipertensione aumentava infatti con l'aumento dell'indice di massa corporea (BMI), come anche quella di dislipidemie, ma queste ultime solo nell'uomo. Il rischio di sindrome metabolica (coesistenza di obesità addominale, dislipidemia, ipertensione e resistenza all'insulina) risulta quasi raddoppiato in tutte le categorie di obesità. Risulta ora necessaria la ricerca clinica di un programma strutturato per la perdita di peso volto a valutare il miglioramento del controllo dei fattori di rischio e la riduzione degli eventi vascolari in questi soggetti. (Arch Neurol 2005; 62: 386-90)
 

03/10/2005 - Cardiologia
Insufficienza cardiaca grave: BNP non sostituisce monitoraggio invasivo
La misurazione seriale dei livelli di peptide natriuretico di tipo B (BNP) non può predire accuratamente i cambiamenti emodinamici che avvengono nei pazienti con insufficienza cardiaca grave, e pertanto è ancora necessario il monitoraggio invasivo. Il fatto che il BNP non possa sostituire la misurazione della pressione capillare polmonare in un'importante minoranza di pazienti con insufficienza cardiaca avanzata è confermato da dati riportati in altri studi, e ricorda che la pressione capillare polmonare è solo uno dei molti fattori che influenzano i livelli di BNP. Il beneficio derivante dalla misurazione dei livelli di BNP, peraltro, non è chiaro. (Am Heart J 2005; 149: 187-9 e 363-9)
 

03/10/2005 - La ricetta elettronica slitta a maggio
La Ragioneria Generale dello Stato ha dato via libera alla proroga, al primo maggio, dell'introduzione del nuovo ricettario a lettura ottica.
Lo Snami, che aveva presentato lo scorso 10 marzo un'istanza per chiedere la proroga - riferisce in una nota il sindacato autonomo dei medici - aveva chiesto una dilazione di 60 giorni che è stata ridotta per ora a 30 dall'organismo del Ministero delle Finanze. ''Lo Snami - si legge nel comunicato - si augura che in questo lasso di tempo Regioni e Asl possano curare al meglio la fornitura di nuovi ricettari ai medici che ne sono ancora sprovvisti e vengano colmati i numerosi dubbi sorti in merito alle compilazione delle ricette e all'adeguamento dei software informatici. Ricordiamo - conclude - che il nuovo ricettario ottico era previsto dal Decreto del ministero delle Finanze del 18/5/04. Lo Snami si è sempre dichiarato critico all'introduzione di un nuovo ricettario come forma di controllo in tempo reale delle prescrizioni da parte del medico di medicina generale''.

Ma la situazione non è chiara ed infatti l'altro sindacato della medicina di famiglia, la Fimmg, ha chiesto chiarimenti ulteriori alla Ragioneria Generale dello Stato . "Con circolare del 21 marzo 2005 prot. N. 33572 è stata autorizzata la proroga dell'utilizzo esclusivo del nuovo ricettario per tutte le Regioni ad eccezione di Abruzzo, Umbria, Emilia Romagna, Veneto e Lazio. - spiega la Fimmg in una nota - Con circolare del 24 marzo prot. n .35344 si dice che "Facendo seguito alla nota n. 33572 del 21 marzo scorso, si precisa che il periodo di proroga sull'utilizzo non esclusivo del nuovo ricettario previsto dall' articolo 50 del decreto legge n. 269/2003, convertito, con modificazioni, dalla legge 326/2003, è limitato al 30 aprile 2005." Non ci appare chiaro se detta proroga riguardi tutte le Regioni, come ci augureremmo, o se rimangono escluse quelle citate nella circolare del 21 marzo"
 

03/10/2005 - Cardiologia
Malattie cardiovascolari: scarso il contributo di fattori di rischio borderline
Livelli borderline di fattori di rischio di malattie cardiovascolari sono responsabili di meno di un decimo degli eventi cardiovascolari: il concetto della somministrazione di un "polifarmaco" a tutti i soggetti adulti di mezza età per modificare il rischio cardiovascolare non appare pertanto giustificabile. Livelli borderline isolati di fattori di rischio maggiori di malattie cardiovascolari sono dunque responsabili di una piccola proporzione di eventi cardiovascolari nella comunità. Le linee guida in vigore sottolineano che l'intensità e la natura di ogni intervento dovrebbero essere basate sui livelli di rischio assoluto e relativo associati ai fattori di rischio cardiovascolare: sembrerebbe pertanto logico implementare inizialmente misure non farmacologiche per controllare livelli borderline isolati di singoli fattori di rischio, e monitorare attivamente questi soggetti allo scopo di rilevare la progressione verso fattori di rischio di livello elevato. In attesa di ulteriori studi, sono urgentemente necessari cambiamenti societari ed ambientali che promuovano uno stile di vita sano: dato che molti medici sottoprescrivono le terapie efficaci note, è necessario sensibilizzare sia medici che pazienti verso l'apprendimento e l'uso di terapie preventive di comprovata efficacia per le malattie vascolari, comprese le terapie basate sui salicilati, quelle antiipertensive e quelle ipolipidemizzanti. (Ann Intern Med 2005;142: 393-402 e 467-8)
 

03/10/2005 - Cardiologia
Statine e calcificazione aortica
Le statine sono in grado di sopprimere alcuni aspetti dei processi che portano alla calcificazione aortica, ma favoriscono altri processi di ossificazione. In vitro è stato rilevato che le statine inibiscono la calcificazione delle cellule della valcola aortica, ma stimolano paradossalmente la calcificazione delle cellule ossee, il che indica che le statine possono risultare utili nella riduzione della progressione della valvulopatia aortica. Va comunque applicata cautela, in quanto alcuni pazienti con valvulopatia ossea allo stadio terminale presentano tessuto osseo in situ, e le statine potrebbero teoricamente velocizzare la stenosi valvolare. Sono dunque necessari studi clinici per valutare gli effetti delle statine sui pazienti con calcificazione della valvola aortica, ma il presente studio ha fornito nuovi ed interessanti approfondimenti nella fisiopatologia cellulare della calcificazione nella stenosi aortica e sulla sua potenziale prevenzione. (Arterioscler Thromb Vasc Biol online 2005, pubblicato il 15/3)

 

03/10/2005 - Endocrinologia
Cuore di donna meno protetto

Se la qualità di una cura medica si vede dai risultati, quella offerta ai pazienti diabetici, in particolare alle donne, per ridurre il rischio cardiovascolare non è certo delle più adeguate. Nelle donne diabetiche infatti è stato registrato, in generale, un incremento di rischio di infarto del miocardio pari a cinque volte quello delle donne non diabetiche per le quali, per altro, il rischio si è abbassato del 27% negli ultimi dieci anni. Per contro nelle donne con il diabete è aumentato del 23%. Cioò ha un impatto notevole sulla mortalità di tale gruppo di pazienti, dal momento che le patologie cardiovascolari spiegano l'80% dei decessi in questa popolazione.

Obiettivi da raggiungere
E' stata inoltre riscontrata un'insufficienza di dati relativi all'adesione alle linee guida della American Diabetes Association (ADA) orientate proprio al controllo dei fattori di rischio cardiovascolare. Per il diabete di tipo 2, sono stati riconosciuti come fattori di rischio, da uno studio anglosassone, l'ipertensione, l'iperglicemia, l'aumento del livello di lipoproteine a bassa densità (LDL), l'abbassamento del livello di lipoproteine ad alta densità (HDL) e l'abitudine al fumo. Sulla base di queste premesse è stato condotto uno studio di coorte che ha valutato, secondo i fattori di rischio riconosciuti, più di 3500 pazienti diabetici, uomini e donne, selezionati presso sette centri medici americani. Il risultato del confronto tra i due generi, purtroppo si allineava con le premesse: le donne con il diabete avevano esisti meno favorevoli rispetto agli uomini con la stessa patologia. Nella coorte considerata, solo il 28% dei soggetti riportava valori di pressione sanguigna inferiori a 180/30 mm Hg, il 48,8% quelli di colesterolo LDL inferiori a 100mg/dl e il 35,8% quello dell'emoglobina A1c (indice del controllo nel tempo della glicemia) inferiore al 7%.

Donne sfavorite
Tali dati peggioravano se si consideravano solo le pazienti diabetiche, nonostante si mantenessero identici l'età, l'indice di massa corporea, la percentuale di ipertensione. Per esempio, la percentuale di donne (45,8%) che raggiungeva l'obiettivo per il colesterolo LDL era significativamente più bassa di quella degli uomini (51,3%). Inoltre una percentuale maggiore di donne aveva un'ipertensione allo stadio 2 (cioè severa) con valori superiori a 160/100 mm Hg. Tale discrepanza si ripeteva anche per lo screening per la retinopatia (54% contro 60%) e per la nefropatia (37% contro 49%). Non c'erano invece differenze nella porzione di pazienti che avevano pressione inferiore a 130/80 mm Hg ed emoglobina A1c entro la norma, come pure nell'uso di statine o degli ACE inibitori (farmaci usati per l'ipertensione). E' un dato di fatto, quindi, che i fattori di rischio cardiovascolare vengano trattati con maggiore aggressività negli uomini piuttosto che nelle donne e, rispetto ad altri studi che avevano valutato le strategie mediche all'inizio degli anni '90, non ci sono stati significativi miglioramenti. Tuttavia non si può attribuire totalmente l'insuccesso al fatto che il ricorso a cure efficaci è inadeguato, esiste comunque un'ipotesi secondo la quale i fattori di rischio cardiovascolare possano essere difficili da trattare nei pazienti diabetici, in particolare le donne, con gli strumenti attualmente disponibili.

Simona Zazzetta


Fonte
Samy I. McFarlane et al.Control of Blood Pressure and Other Cardiovascular Risk Factors at Different Practice Settings: Outcomes of Care Provided to Diabetic Women Compared to Men. J Clin Hypertens (Greenwich). 2005 Feb;7(2):73-80
 

03/10/2005 - Il cancro in Europa nel 2004
Introduzione
I dati più recenti sull’incidenza e sulla mortalità del cancro a livello europeo si riferiscono alla metà degli anni ’90 e risultano di scarsa utilità per la pianificazione di un controllo delle patologie neoplastiche, mentre non sono disponibili stime più recenti su incidenza e mortalità per cancro a livello europeo. Nel 2000 sono state registrati 1.122.000 decessi per carcinoma nei 25 stati membri dell’Unione Europea (UE) e, benché il tasso di mortalità specifico per età sia rimasto costante in quel periodo, è previsto un grande incremento del numero assoluto dei casi di cancro e di decessi ad esso correlati. Nonostante il previsto contenimento della popolazione europea totale, rispetto al 2000, nel 2015 si assisterà ad un incremento del 22% della popolazione con più di 65 anni e un aumento del 50% dei soggetti con più di 80 anni; la stretta associazione tra il rischio per cancro ed età avanzata condurrà, presumibilmente, ad un aumento dei casi oncologici nei prossimi anni.
Le stime numeriche dei casi di cancro e dei decessi in Europa nel 2004 sono state calcolate per fornire informazioni sul peso sociale di questa malattia nei 25 stati membri dell’UE.

Lo studio
Le più recenti fonti riguardanti incidenza e mortalità delle malattie neoplastiche, disponibili grazie al Gruppo di Epidemiologia Descrittiva (GED) dell’International Agency for Research on Cancer (IARC), sono state applicate alle proiezioni sulla popolazione di 25 stati dell’UE per fornire la stima migliore di questi dati in Europa nel 2004.

I risultati
In Europa, nel 2004, sono stati stimati 2.886.800 casi di cancro diagnosticati e 1.711.000 decessi per carcinomi. Il tumore più frequente è risultato quello del polmone (13.3% di tutti i casi), seguito dal cancro del colon-retto (13.2%) e dal carcinoma della mammella (13%). Il carcinoma del polmone risulta anche la più comune causa di morte per cancro (341.800 decessi), seguito dal cancro del colon-retto (203.700), stomaco (137.900) e mammella (129.900).

Conclusioni
Con 2,9 milioni di nuovi casi (54% negli uomini, 46% nelle donne) e 1,7 milioni di decessi stimati (56% negli uomini, 44% nelle donne) ogni anno, il cancro rimane un importante problema di salute pubblica in Europa. L’invecchiamento della popolazione europea causerà un continuo aumento di questi numeri, anche se il tasso specifico per età tenderà a rimanere costante. Per fare progressi rapidi nella lotta contro il cancro in Europa, risulta evidente la necessità di combattere innanzitutto i grandi killers: cancro polmonare, colorettale, mammario e gastrico. La percentuale di cancro allo stomaco si sta riducendo in tutte le nazioni europee mentre sono disponibili misure di sanità pubblica volte a ridurre l’incidenza e la mortalità delle principali neoplasie maligne.

Federico Pantellini
(P.Boyle et al. Cancer incidence and mortality in Europe, 2004. Annals of Oncology 2005; 16:481-488)
 

03/10/2005 - Dermatologia
La fame ti fa bello

Trovare che cosa arresti l'invecchiamento è una di quelle scommesse cui i ricercatori non rinunciano. E se pare via via meno probabile trovare una risposta complessiva, effettivamente vi sono indizi che alcune misure di "igiene" possano intervenire sul alcuni fattori. Vi è l'attività fisica oculata e vi è anche la restrizione calorica, cioè una dieta un po' meno generosa. Quest'ultimo aspetto è stato già indagato nell'animale, arrivando anche a dimostrare, in diverse specie che vanno dagli insetti ai primati, o la riduzione di certe forme tumorali legate all'invecchiamento o il miglioramento di alcuni marker o addirittura l'allungamento della vita media. Più limitatamente, un nuovo studio viene ora a portare nuove prove sugli effetti della restrizione calorica a proposito di un aspetto che riscuote molto interesse: l'invecchiamento della cute. Un tema non semplice, visto che ai meccanismi dell'invecchiamento fisiologico si aggiungono gli effetti dell'ambiente, soprattutto dell'esposizione alla radiazione solare. In questo senso, le indagini sul modello animale consentono di separare in buona misura i due aspetti.

Più collagene, più fibre elastiche
La ricerca è stata condotta sulle cavie, per la precisione sui ratti Fischer 344. Sono stati selezionati 36 animali (che costano piuttosto cari) di tre gruppi di età: giovani, adulti e anziani. Metà del campione poteva alimentarsi a volontà, l'altra era invece tenuta a una dieta. Come è triste necessità, i ratti sono poi stati soppressi, così da ottenere campioni della cute nella zona ventrale, da esaminare poi al microscopio. Prima di illustrare i risultati è bene premettere che in questi ratti gli effetti dell'invecchiamento sulla cute non ricalcano esattamente quelli che si presentano nell'uomo. Per esempio, mentre la cute umana tende ad assottigliarsi, in questi animaletti diviene più spessa con l'età. Ciononostante, lo scopo dello studio era vedere se la restrizione calorica riduceva i fenomeni di senescenza, indipendentemente dalla loro natura. La risposta è stata positiva, proprio a cominciare dall'ispessimento della cute, che era ridotto nei topi a dieta, soprattutto a spese dello strato di grasso. Anche gli altri parametri però risentivano positivamente: aumentava l'attività dei fibroblasti, cioè le cellule che costruiscono le strutture elastiche della pelle, così come miglioravano altri parametri significativi come la quantità di collagene e di fibre. Questi, a differenza, del primo, sono fenomeni comuni anche alla cute umana: con il passare degli anni i fibroblasti tendono effettivamente a perdere di attività, così come si riducono il collagene e le fibre.

Meno stress ossidativo
Ovviamente c'è molta cautela nel generalizzare questi risultati, anche perché esiste una certa variabilità da un animale all'altro, ma effettivamente è un ulteriore dato a supporto. E' evidente che, visto il gran numero di fattori metabolici con cui interagisce la restrizione calorica, non è nemmeno così facile dare spiegazioni. La più generale è quella che si rifà allo stress ossidativo, e in effetti i sottoprodotti delle reazioni di glicosilazione del collagene erano effettivamente più bassi nei topi a stecchetto. Considerato che comunque, male non fa indipendentemente dagli effetti sulla pelle, sembra che ridurre le calorie sia proprio un imperativo...

Sveva Prati

Fonte
Bhattacharyya TK et al. Modulation of cutaneous aging with calorie restriction in Fischer 344 rats: a histological study. Arch Facial Plast Surg. 2005 Jan-Feb;7(1):12-6


 

03/10/2005 - Le malattie degli italiani, tutti i numeri

Le malattie degli italiani, tutti i numeri
Dall'Aids alle allergie, dall'Alzheimer all'artrite reumatoide i dati epidemiologici delle principali patologie
Il quinto Rapporto sulle politiche della cronicità, a cura del Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati cronici-Cittadinanzattiva, passa in rassegna la condizione dell'assistenza per le principali patologie croniche in Italia. Vediamo i numeri:

Aids. A oggi in Italia sono stati diagnosticati, dall'inizio dell'epidemia di Aids 53.686 casi di malattia conclamata, e le stime ufficiali parlano di 110-130.000 sieropositivi. L'Italia è tra i Paesi con il più alto numero stimato di infezioni da Hiv tra quelli dell'Ue. L'assistenza fa registrare significative differenze tra le regioni, e spesso anche all'interno di una stessa regione, che riguardano l'accesso ai farmaci e particolari esami diagnostici per individuazione la terapia più adatta a ciascun paziente.

Allergie. Ne soffrono circa 10 milioni di persone, più del 20% della popolazione. Sono la terza causa di malattia cronica, dopo osteoporosi, artrite e ipertensione.

Alzheimer. Sono circa 600.000 i malati in Italia, l'1% dei 65enni e il 30% degli 80enni. Ogni anno sono 60-80.000 i nuovi casi di questa malattia. Più dell'80% dei pazienti vive a casa, accudito prevalentemente dai familiari. Il costo annuo (diretto) per malato assistito in famiglia si aggira sui 40.000 euro. Anche in questo si registrano forti disomogeneità tra regione e regione nelle risposte ai cittadini.

Artrite reumatoide. In Italia sono 300.000 i casi, lo 0,5% della popolazione. Il 30-42% dei pazienti diventa inabile al lavoro entro 10 anni dall'esordio della malattia. I costi diretti (ricoveri e farmaci, accertamenti diagnostici e visite specialistiche a carico del Ssn) ammontano a 620 milioni di euro annui, quelli indiretti a 1.070 euro l'anno per paziente.

Asma. Nel 2002 gli italiani costretti a convivere con la malattia sono stati più di 3 milioni, i ricoveri ospedalieri oltre 29.000, con una degenza media tra 5 e 6 giorni. Si sono registrati 1.063 decessi, il 3% del totale per malattie respiratorie (37.782). L'incidenza dell'asma è del 9,5% nei bambini e del 10,4% negli adolescenti. Il costo medio per paziente raggiunge gli 810 euro.

Bpco (Broncopneumopatia cronica ostruttiva). E' la quarta causa di malattia cronica, con 4 milioni di pazienti. La spesa media annuale procapite è di 1.307 euro, ma nei casi più gravi arriva a 7.000 euro. negli stadi più avanzati.

Celiachia. Sono circa 55.000 le diagnosi in Italia, con un incremento del 10-15% l'anno. Ma si stima siano almeno 450.000 gli italiani celiaci, di cui 395.000 ancora da diagnosticare.

Diabete. Colpisce circa il 4% della popolazione. Per l'assistenza ai pazienti viene utilizzato circa il 7% del Fondo sanitario nazionale. Il costo medio di un malato di tipo 2 è di 3.135,93 euro l'anno, con una spesa totale annua del Ssn di 5.422.797,44 euro.

Epatice C. I nuovi casi di infezione sono in calo, ma ogni anno se ne registrano circa 1.000. Il costo annuo medio per il trattamento dell'epatite C varia tra i 150 a 200 milioni di euro, solo per spese farmaceutiche.

Osteoporosi. Una donna su tre dopo i cinquanta anni va incontro a una frattura ossea dovuta all'osteoporosi. In Italia, ogni anno, se ne verificano circa 250.000, di cui circa 70.000 del femore. Un cittadino su otto, dopo i cinquant'anni, subisce una frattura vertebrale. Nel 2001 le fratture di femore da osteoporosi hanno causato una spesa ospedaliera di 555,8 milioni di euro.

Parkinson. Colpisce 250.000-300.000 italiani. Un paziente con circa 10-12 anni di malattia può dover sopportare un costo, solo per farmaci, di 30 euro al giorno, di cui un terzo a proprio carico. Ancora più 'salate' le terapie riabilitative o l'assistenza al domicilio.


Speciale Psichiatria
Arvid Carlsson, premio Nobel per la medicina nel 2000, spiega ai lettori di Doctornews, in una video intervista, il ruolo della dopamina nella schizofrenia.


 

03/10/2005 - Misteriosa melatonina
Quella della melatonina è sicuramente una storia controversa. Decantata da tempo come un rimedio naturale ai problemi di insonnia, oggi è venduta come integratore alimentare e non è registrata come farmaco in nessuno stato membro della comunità europea. In Italia la si può trovare presso alcuni fornitori di materie prime e il farmacista se ne può approvvigionare con un semplice ordine, dispensandola come galenico magistrale dietro presentazione di ricetta medica. Ma funziona davvero? E' quello che si sono chiesti dei ricercatori del MIT, partendo dall'osservazione che esistono discrepanze anche nel definire che cosa sia buono o cattivo sonno. Per questo hanno messo insieme le informazioni derivate da 17 studi sull'argomento, rispondenti a rigidi criteri. I risultati? La melatonina sembrerebbe efficace e sicura, ma a conferma della sua innata controversia, due notiziari on line statunitensi hanno tratto dallo studio soluzioni opposte. La chiave, comunque, sembrerebbe il dosaggio.

Il ruolo del dosaggio
Già precedenti ricerche avevano evidenziato come sia sufficiente una piccola dose di melatonina per avere un buon riposo. Bastano - dissero i ricercatori in un editoriale del BMJ - dai 2 ai 5 milligrammi di questa sostanza, quando si va a letto il primo giorno dopo il viaggio e nei successivi due o quattro giorni, per assestare i propri ritmi al nuovo fuso orario. Una parte della melatonina che si assume per via orale viene distrutta, un'altra parte viene metabolizzata dal fegato e si trasforma in idrossimelatonina. Presa in quella quantità facilita il sonno e rende più facile addormentarsi anche dopo i risvegli notturni, tipici dell'età più avanzata. I ricercatori segnalano, invece, che la melatonina è disponibile in commercio a dosaggi 10 volte superiori. Un problema, perché a quel dosaggio dopo un po' di giorni non è più efficace, visto che i recettori cerebrali non rispondono più. Da qui i pregiudizi sulla sostanza e sulla sua inefficacia nonché una serie di effetti collaterali come l'ipotermia. Ma tornando alla metanalisi, la cattiva fama della melatonina viene smentita. Come premesso i 17 studi considerati dovevano ottemperare a una serie di criteri come l'essere controllati contro placebo o includere misure oggettive su almeno sei soggetti. I ricercatori del MIT hanno riscontrato in alcuni studi il "vizio" di ricorrere a dosaggi eccessivi, ma la ricerca evidenzia effetti benefici statisticamente significativi sul sonno. La melatonina, infatti, tenuto conto della soggettività degli aspetti considerati, diminuisce il tempo d'attesa del sonno, di quattro minuti in media, e aumenta l'efficienza e la durata totale del riposo, fino a 12,8 minuti in più. L'ormone, perciò, può avere un ruolo nella terapia dell'insonnia in particolare per gli individui più anziani o con anormale secrezione. Quanto alle modalità di somministrazione e al dosaggio saranno necessarie ulteriori ricerche, per avere finalmente una risposta.

Marco Malagutti

Fonte
Brzezinski A et al. Effects of exogenous melatonin on sleep: a meta-analysis. Sleep Medicine Reviews, vol 9, 41-50


 

03/10/2005 - Terapia nella DVT
Ogni anno vengono diagnosticati circa 250.000 nuovi casi di trombosi venosa profonda (DVT), la maggior parte di questi pazienti si presenta al pronto soccorso solo con questa sintomatologia.
Numerosi studi e meta-analisi, hanno confermato la sicurezza e l’efficacia della terapia con eparina a basso peso molecolare (LMWHs) per questo tipo di malattia, in quanto presenta una facile somministrazione per via sottocutanea una o due volte al giorno e può essere utilizzata come terapia domiciliare richiedendo solo un semplice monitoraggio; inoltre questo modello terapeutico ha dimostrato una forte efficacia dal punto di vista farmaco-economico.
I pazienti sembrano preferire la terapia domiciliare, e in quelli non complicati essa rappresenta un trattamento sicuro ma soprattutto facile da attuare rappresentando un totale beneficio per il sistema sanitario.
Nonostante sia accertata la sicurezza e l’efficacia di questa terapia, non sempre i pazienti non ricoverati la utilizzano, i diversi ostacoli che possono impedire il suo utilizzo includono ad esempio una difficoltà nella sua messa in pratica, problemi assicurativi nel pagamento di questa medicina, la presenza di malattie critiche e specifiche controindicazioni verso questo tipo di terapia.

Studio
In questo studio condotto tra maggio 2001 e l’agosto 2002, si è cercato di stabilire un percorso clinico per i pazienti non ricoverati con una DVT, attraverso l’uso della LMWHs.
I pazienti che potevano entrare a far parte dello studio erano adulti (età > o = 18), a cui era stata fatta una diagnosi di DVT. Il kit per la terapia domiciliare includeva materiale di insegnamento, una scatola con le siringhe e un videotape con le istruzioni per l’uso.
Dei 98 pazienti eligibili per l’arruolamento, alla fine 97 (99 per cento) sono entrati a far parte della ricerca.

Risultati
L’età media dei pazienti, che rientravano a far parte dello studio, era di 60.7 anni, e il 59 per cento del campione era rappresentato da donne. Tra i 97 partecipanti, 29 (30 per cento) avevano iniziato con successo la terapia domiciliare con la LMWHs, mentre dei 68 (70 per cento) partecipanti che invece non avevano iniziato la terapia domiciliare, 19 (20 per cento) presentavano controindicazioni alla terapia con anticoagulanti, 33 (34 per cento) avevano altre indicazioni per l’ospedalizzazione, sei (sei per cento) non erano in grado di auto-iniettarsi il farmaco, e 10 (10 per cento) avevano una cura o un’emergenza medica che non permetteva tale approccio terapeutico.

Conclusioni
Lo scopo di questa ricerca è stato quello di dimostrare come l’istituzione di un percorso clinico per la DVT con eparina a basso peso molecolare, possa facilitare la terapia domiciliare per quei pazienti non ricoverati, anche se non sempre è possibile attuare questa strada in quanto alle volte si rende strettamente necessario o meglio inevitabile un ricovero ospedaliero.

Lucia Limiti
(Nathan I. Shapiro et al. Barriers to the use of outpatient enoxaparin therapy in patients with deep venous thrombosis. American Journal of Emergency Medicine 2005; 23:30-34)
 

18/07/2005 - Oncologia
Tumore polmonare: età non compromette chemioterapia
La chemioterapia tende ad essere efficace e ben tollerata negli anziani con tumori polmonari non a piccole cellule quanto nelle loro controparti più giovani. I pazienti anziani potrebbero venire trattati in modo subottimale, e la loro partecipazione agli studi clinici è inferiore a quella dei più giovani, anche se la loro fascia d'età va incontro ad una maggiore incidenza dei tumori polmonari. L'età da sola non dovrebbe precludere ad un paziente anziano la possibilità della chemioterapia: la scelta del trattamento infatti dovrebbe essere effettuata sulla base del senso clinico, dei profili di tossicità dei farmaci, delle comorbidità del paziente, dei costi e delle preferenze del paziente stesso. (Chest 2005; 128: 132-9)

Doctornews n. 1057 del 18 luglio 2005
 

18/07/2005 - Neurologia
Ictus: ipertensione peggiora impatto su funzionalità cognitiva
Nelle donne che vanno incontro ad ictus, la presenza preesistente di ipertensione è predittiva di maggiori declini nella funzionalità cognitiva: la spiegazione di questo fenomeno può consistere nel fatto che il danno ipertensivo potrebbe impedire la ripresa dall'ictus. La pressione elevata è stata associata a danno cerebrale subclinico, come infarti silenti o nascosti e leucoaraiosi, ma non è noto se l'ipertensione aumenti l'impatto di ictus incidenti. In base al presente studio, è possibile dimostrare che i fattori predittivi di declino cognitivo dopo un ictus non siano semplicemente elementi correlati ad una bassa funzionalità cognitiva prima dello stesso. I risultati dello studio sono coerenti con l'ipotesi secondo cui infarto silente e rarefazione della sostanza bianca causati dall'ipertensione potrebbero ridurre la capacità del cervello di adattarsi e riprendersi da un ictus, aumentando pertanto il declino cognitivo. La riduzione della pressione potrebbe pertanto avere l'ampio potenziale di ridurre il carico del danno cognitivo fra i sopravvissuti all'ictus. (Ann Neurol 2005; 58: 68-74)

Doctornews n. 1057 del 18 luglio 2005
 

15/07/2005 - Sanità
Storace su liste attesa, possibili sanzioni per agende chiuse
Sulle liste d'attesa è tempo di valutare possibili sanzioni per chi ha le 'agende chiuse', ovvero per le strutture sanitarie che bloccano le liste non accettando nuove prenotazioni. Ne è convinto il ministro della Salute Francesco Storace che ha partecipato ieri a Roma alla presentazione del 'manuale Merck per la Salute', organizzato dalla neonata Fondazione Msd.
Storace ha infatti invitato a ''non rassegnarsi di fronte al problema delle liste d'attesa'' ipotizzando anche eventuali sanzioni. ''Stiamo lavorando con le Regioni su questo argomento. C'è un tavolo al ministero che sta già affrontando la questione a livello tecnico: dall'appropriatezza delle prestazioni, alle agende chiuse, alla possibilità di centri di prenotazione unificati per le Regioni che il ministero è disponibile a finanziare, fino al rimborso per i cittadini danneggiati'. Storace ha ricordato che insieme alle Regioni ''ci stiamo confrontando sugli strumenti da adottare ma è ineludibile arrivare alla soluzione dei problemi''.

Doctornews n. 1051 del 15 luglio 2005
 

15/07/2005 - Dirigenza Medica
Ospedalieri, no al pensionamento a 70 anni per gli universitari
'No' deciso al pensionamento a 70 anni per i professori universitari in materie cliniche. Contrari a posticipare i tempi dell'addio al lavoro sono le organizzazioni sindacali della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria del Servizio sanitario nazionale, che ribadiscono la loro contrarietà all'articolo del testo relativo allo stato giuridico dei docenti universitari, in discussione al Senato, che prevede per i professori ordinari e associati di materie cliniche, il diritto di esercitare le funzioni assistenziali fino al 70esimo anno di età. I maggiori sindacati medici (Anaao Assomed, Aupi, Cimo Asmd, Civemp, Federazione Cisl medici Cosime, Federazione medici aderente Uil Fpl, Fesmed, Fp Cgil Medici, Snabi Sds, Umsped) , sottolineano in un comunicato unitario, che la "tumultuosa crescita del sapere medico e l'impegno e la gravosità delle funzioni che competono ai dirigenti di struttura operativa complessa del Ssn, rendano opportuna la valorizzazione di energie professionali sempre nuove".

Doctornews n. 1051 del 15 luglio 2005
 

15/07/2005 - La crisi della medicina universitaria
La sanità universitaria rischia di entrare in una crisi irreversibile se non si interviene prontamente.
L'ammonimento arriva dalla Conferenza dei Rettori
Il grido d'allarme è stato lanciato alla conclusione di un incontro tra il Presidente della Crui, Piero Tosi, il Coordinatore della Commissione Crui Medicina, Salvatore Venuta, il Presidente della Conferenza dei Presidi di Medicina e Chirurgia, Luigi Frati e il Coordinatore degli Assessori Regionali alla Sanita', Enrico Rossi. ''A causa della sempre piu' evidente inadeguatezza normativa, legata in particolare alla necessita' di revisione del decreto legislativo 517 ha dichiarato Venuta riferendosi al provvedimento che disciplina i rapporti tra Servizio Sanitario Nazionale e universita' - la capacita' scientifica della sanita' universitaria e' costantemente frustrata, oltre a essere anche depauperata di fondamentali risorse finanziarie. E' giunto il momento di costruire da subito un'alleanza strategica tra il sistema della Sanita' Universitaria e le Regioni per restituire a questa determinante risorsa il giusto ruolo nell'ambito del Sistema Sanitario Nazionale''. E' in quest'ottica che la Crui, la Conferenza dei Presidi di Medicina e Chirurgia e il Coordinamento delle Regioni, hanno deciso di istituire un tavolo tecnico, al quale - afferma la Crui - certamente assicureranno la loro partecipazione e il loro contributo i ministeri dell'Universita' e della Sanita' - che affronti i problemi relativi alla revisione del decreto legislativo 517/99 ''in una logica di maggiore valorizzazione dell'attivita' istituzionale scientifica, didattica e assistenziale universitaria e della sua integrazione nella programmazione sanitaria regionale e nazionale''.
Il sistema della sanita' universitaria con le sue 39 facolta' di Medicina presenti su tutto il territorio nazionale, con circa 29.900 posti letto e oltre 27.765 nuove immatricolazioni annue (tra corsi di laurea in medicina e corsi delle professioni sanitarie), ''rappresenta - sottolinea la Crui -il cuore della formazione e della ricerca sanitaria del Paese. Cio' in quanto la sanita' universitaria rappresenta da una parte una garanzia di qualita' grazie al rapporto integrato tra ricerca e assistenza, e quindi al costante contributo all'innovazione medica e tecnologica, dall'altra risponde alle esigenze di una sanita' sempre piu' moderna, innovativa e competitiva anche a livello internazionale attraverso la formazione di personale delle professioni mediche competente e continuamente aggiornato''

Doctornews n. 1051 del 15 luglio 2005
 

15/07/2005 - Medicina interna
Sindrome metabolica aumenta rischio di ictus nell'anziano
La sindrome metabolica nei soggetti anziani è associata all'aumento del rischio di ictus ischemico/non embolico acuto. Dato che la sindrome metabolica rappresenta una condizione associata ad un rischio sostanzialmente elevato, nella maggior parte dei pazienti appare giustificata la terapia farmacologica per la riduzione del rischio cardiovascolare. Comunque, i livelli di colesterolo LDL non risultano elevati nella maggior parte dei pazienti con sindrome metabolica, e non vi è consenso sul livello target appropriato di LDL nella sindrome metabolica. Appare logico che la gestione mirata di questa condizione coinvolga il trattamento farmacologico unitamente a cambiamenti terapeutici dello stile di vita volti a ridurre l'obesità, controllare ipertensione e glicemia e migliorare la dislipidemia. (Stroke 2005; 36: 1372-6)

Doctornews n. 1051 del 15 luglio 2005
 

15/07/2005 - Pneumologia
BPCO: utile integrazione creatina
I pazienti con broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) che assumono integratori della creatina vanno incontro ad aumento della massa magra, incremento della forza e della resistenza della muscolatura periferica e miglioramento dello stato di salute, anche se la capacità di esercizio complessiva non ne viene influenzata. La perdita di massa muscolare scheletrica e le disfunzioni muscolari sono forti fattori predittivi indipendenti di mortalità nei pazienti con BPCO: gli integratori alimentari di creatina vengono usati comunemente dai soggetti sani per aumentare la massa muscolare e la capacità d'esercizio, ed i pazienti con BPCO presentano bassi livelli di creatina nei propri muscoli. La creatina è una sostanza alimentare comune, che si trova in quantità elevate in carne e pesce, ed è commercialmente libera da acquistare nei negozi di alimentari e di articoli sportivi. E' ora necessario intraprendere uno studio randomizzato e controllato atto a rilevare le differenze più rilevanti nello stato di salute dei pazienti con BPCO che ne fanno uso, onde determinare la potenziale utilità dell'integrazione della creatina nel contesto della riabilitazione polmonare multidisciplinare dei pazienti invalidati da questa malattia. (Thorax 2005; 60: 531-7)

Doctornews n. 1051 del 15 luglio 2005
 

15/07/2005 - Salute
85% per cento italiane soffre di disturbi intimi
Ben l'85% delle italiane tra i 14 e i 60 anni ha sofferto, negli ultimi 12 mesi, di disturbi intimi: bruciore, prurito e irritazioni. E ancora, il 58% non e' soddisfatta del proprio rapporto con il ginecologo: ben 8 donne su 10 ritengono inoltre che lo specialista tende a effettuare una visita 'anatomica', senza soffermarsi sui fattori emotivi. Mentre per il 94% il ginecologo dovrebbe anche comprendere il linguaggio e lo stato d'animo femminile. Questi alcuni dati emersi dall'osservatorio 'Nel mio intimo c'è? le donne e il mondo dell'intimo', dell'Associazione Ginecologi Consultoriali (Agico) in collaborazione con Chilly.
Lo studio è stato condotto su un campione di 400 donne, rappresentativo di 18.160.000 italiane tra 14 e 60 anni e realizzato attraverso interviste telefoniche. I risultati raccolti e diffusi ieri, raccontano il rapporto con l'igiene personale, l'atteggiamento verso alcuni disturbi intimi, il complicato rapporto con il ginecologo e la sfera della 'cura del se'. Un disturbo, noto a gran parte del campione osservato, poi, e' la secchezza genitale. Per il 78% delle intervistate provoca un disagio nei rapporti con il partner, il 49% lo vive come un tabu' di cui non si deve parlare, mentre il 29% lo considera una vera e propria malattia. ''Quello che emerge da questa ricerca - afferma in una nota Alessandra Graziottin, responsabile del centro di ginecologia e sessuologia medica dell'ospedale San Raffaele Resnati di Milano - è che per le donne l'igiene intima assume un significato ben più importante della sola pulizia personale''. ''L'89%, infatti - continua l'esperta - afferma che la sfera intima coinvolge fortemente l'ambito psicologico ed emotivo. Questa correlazione è ancora più forte nelle giovani donne tra i 25 e i 34 anni. Inoltre sono tre i 'profili' delle italiane alle prese con l'igiene personale: 'le serene' (circa il 43% delle intervistate), che mostrano un atteggiamento equilibrato verso la cura di sé, attento e non esasperato. 'Le esigenti' (circa il 47%), che pongono grande attenzione al proprio aspetto fisico e sono mediamente più soddisfatte del proprio corpo rispetto alle altre (generalmente hanno tra i 25 ed i 34 anni), sono per lo più single o fidanzate, con un compagno con il quale non convivono. Infine 'le demotivate' (circa il 10%), donne poco interessate alla cura di sé: non pensano che l'igiene possa influire sulla salute e il benessere personale, hanno tra 45 e 60 anni, sono sposate o convivono e spesso non hanno tempo sufficiente da dedicare a loro stesse.

Doctornews n. 1051 del 15 luglio 2005
 

14/07/2005 - Ricerca
Storace, più fondi alla ricerca in DPEF e finanziaria
Piu' peso politico al ministero della Salute per ''pretendere rispetto per chi lavora nella sanita' e soprattutto nella ricerca'' e ottenere piu' risorse nel Dpef e nella prossima Finanziaria. E' la ''battaglia'' in cui e' impegnato il ministro della Salute Francesco Storace, in queste ore in cui si lavora al Documento di programmazione economica e finanziaria. Lo ha detto lo stesso Storace, intervenendo alla presentazione della Relazione dell'attivita' scientifica 2004 dell'Istituto Regina Elena di Roma. ''In questi anni - afferma Storace - sono aumentati i finanziamenti alla sanita', portati a oltre 90 miliardi di euro: un grande risultato, che non e' coinciso con un eguale aumento delle risorse per la ricerca. Si e' privilegiata l'assistenza e l'organizzazione del sistema, ma non si e' investito sul futuro''. La ''battaglia politica'' vera si combatte in queste ore, ''in cui si lavora al Dpef e alla prossima Finanziaria, per ottenere un aumento della dotazione finanziaria per questo settore e una diversa allocazione delle risorse all'interno del ministero della Salute''. Storace punta a coinvolgere il ministro della Ricerca e tutti i soggetti interessati, come gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs), in una cabina di regia sulla ricerca, da istituire probabilmente con la Finanziaria, ''per fare squadra e avere piu' forza. Abbiamo capacita' imprenditoriali e ricercatori di grande livello che ci consentono di dare una speranza di futuro al nostro Paese: aumentare i finanziamenti alla ricerca e' una priorita', ne guadagna l'Italia e anche il Governo''.

Doctornews n. 1041 del 14 luglio 2005
 

14/07/2005 - Cardiologia
Salute cardiovascolare inversamente connessa a sindrome metabolica
Lo stato di salute cardiorespiratoria del paziente, misurato mediante il test da sforzo, costituisce un forte fattore predittivo indipendente del suo rischio di sindrome metabolica. Un migliore stato di forma potrebbe impedire che soggetti con alcuni elementi della sindrome metabolica sviluppino l'intero insieme delle patologie. Questo ruolo protettivo della forma permane anche in soggetti ad elevata suscettibilità per via della presenza di fattori di rischio metabolici. I medici potrebbero consigliare ai propri pazienti più sedentari di divenire più attivi fisicamente e di migliorare il proprio stato di salute cardiorespiratoria quale parte della prevenzione primaria della sindrome metabolica. (Circulation online 2005, pubblicato il 26/6)

Doctornews n. 1041 del 14 luglio 2005
 

14/07/2005 - Telecardiologia
Passi avanti nel controllo della fibrillazione atriale
Prosegue il cammino della medicina per il trattamento della fibrillazione atriale: un nuovo studio, denominato Gissi-Af, sta infatti verificando se l'aggiunta di un farmaco (il Valsartan) possa ridurre la ricorrenza della patologia in soggetti con storia recente di fibrillazione atriale e affetti da altre malattie cardiovascolari. Condotto dall'Istituto Mario Negri e dall'Associazione nazionale dei medici cardiologi ospedalieri (Anmco), lo studio è effettuato con l'ausilio tecnologico dell'azienda Telbios, attiva nella realizzazione di servizi di telemedicina, che fornisce un dispositivo, grande come un portamonete e posizionato vicino al cuore del paziente, che consente, appoggiato alla cornetta del telefono o del cellulare, di trasmettere ad un centro medico coordinatore i dati rilevati dal battito cardiaco. Gissi-Af rientra negli studi di Gissi (gruppo italiano per lo studio della sopravvivenza nell'infarto miocardico) ed è pensato appositamente per la cura della fibrillazione atriale, un'anomalia del ritmo cardiaco la cui frequenza aumenta sempre di più all'avanzare dell'età. Gissi è nato oltre 20 anni fa dalla collaborazione tra l'istituto Mario Negri e l'associazione nazionale dei medici cardiologi ospedalieri per studiare le cause e le conseguenze connesse all'infarto miocardico. Gissi-Af costituisce l'ultima edizione di una serie di studi clinici che ha coinvolto più di 60.000 pazienti. Si calcola che più di 5 milioni di persone al mondo siano affette da fibrillazione atriale, con una percentuale di incidenza corrispondente allo 0,5% nella popolazione intorno ai 50 anni che può aumentare fino al 10% nei soggetti con più di 65 anni. In Italia si stima che i soggetti colpiti siano più di 500 mila, con circa 50.000 nuovi casi all'anno. Il Gissi-Af, che può contare sulla sperimentata rete cardiologica italiana (140 centri), con 1.400 pazienti previsti si annuncia come il più importante studio realizzato a livello mondiale (anche per dimensioni del campione) mediante apparati di telecardiologia.

Doctornews n. 1041 del 14 luglio 2005
 

13/07/2005 - Quando il mobbing può essere considerato una malattia professionale?
Il mobbing non puo' assurgere a malattia tipizzata indennizzabile, in assenza di definizioni scientifiche certe; la circolare INAIL n. 71/03
Massima

La circolare INAIL n. 71/2003 non è che un vero e proprio provvedimento mirante ad integrare surrettiziamente il complesso delle malattie c.d. "tabellate", essa viola l'art. 10, c. 1 del Dlg 38/2000, nella misura in cui siffatta integrazione deriva non già dal rigoroso accertamento da parte della Commissione scientifica per l'elaborazione e la revisione periodica delle tabelle ex artt. 3 e 211 del DPR 1124/1965, né dall'espressa volizione dei Ministeri a ciò competenti, bensì da un comitato interno all'ente e senza le garanzie, pure partecipative, recate dal citato Dlg 38/2000.

§ - Non vi e' indennizzo se non per il rischio lavorativo specifico, onde non basta affermare la rilevanza in sé delle malattie non "tabellate", occorrendo verificare se esse diano luogo all'esposizione del lavoratore ad una specifica lavorazione morbigena, ossia assunta come in sé pericolosa direttamente dal legislatore. (www.dirittosanitario.net)

Doctornews n. 1029 del 13 luglio 2005
 

13/07/2005 - Neurologia
Sindrome del tunnel carpale: chirurgia decompressiva migliore degli steroidi
La chirurgia decompressiva è superiore all'iniezione di steroidi nei pazienti con sindrome del tunnel carpale (CTS) lieve/moderata in termini di alleviamento dei sintomi e risposta nella conduzione nervosa. La chirurgia decompressiva e l'iniezione di steroidi sono forme di trattamento ampiamente usate per la CTS, ma non vi è consenso unanime sulla loro efficacia in relazione alle altre. In base al presente studio, dato anche che l'iniezione ripetuta di steroidi non è scevra da rischi, quest'ultima strategia potrebbe essere sovrautilizzata nella pratica clinica. Queste iniezioni potrebbero, comunque, avere un ruolo distintivo quali fattori predittivi della risposta all'intervento chirurgico, in quanto i pazienti che rispondono transitoriamente all'iniezione locale hanno probabilità molto maggiori di andare incontro ad alleviamento dei sintomi dopo l'intervento. (Neurology 2005; 64: 2074-8 e 2006-7)

Doctornews n. 1029 del 13 luglio 2005
 

12/07/2005 - Nefrologia
Emodialisi: carnitina diminuisce ricoveri
I ricoveri sono responsabili del 41 percento dei costi assistenziali delle nefropatie terminali. Il deficit di carnitina è comune fra i pazienti in dialisi, ed alcuni studi hanno dimostrato miglioramenti nell'anemia e nella funzionalità dei muscoli scheletrici e di quello cardiaco a seguito della somministrazione di L-carnitina. E' stato ipotizzato che in questi pazienti la somministrazione di carnitina possa essere associata alla diminuzione dei ricoveri. I risultati del presente studio confermano questa associazione, ed indicano che questa terapia è di grande beneficio nei pazienti con cardiopatie, anemia o ipoalbuminemia. (Am J Nephrol 2005; 25: 106-15)

Doctornews n. 1019 del 12 luglio 2005
 

11/07/2005 - Corte di Cassazione
Primario ospedaliero e responsabilità quando è assente
Sulla responsabilita' del primario ospedaliero
Massima
Se è vero che il primario ospedaliero non può essere chiamato a rispondere di ogni evento dannoso che si verifichi in sua assenza nel reparto affidato alla sua responsabilità, non essendo esigibile un controllo continuo ed analitico di tutte le attività terapeutiche che vi si compiono, tuttavia, il suo dovere di vigilanza sull'attività del personale sanitario implica quantomeno che lo stesso si procuri informazioni precise sulle iniziative intraprese (o che intendono intraprendere) gli altri medici, cui il paziente sia stato affidato, ed indipendentemente dalla responsabilità degli stessi, con riguardo a possibili, e non del tutto imprevedibili, eventi, che possono intervenire durante la degenza del paziente in relazione alle sue condizioni, allo scopo di adottare i provvedimenti richiesti da eventuali esigenze terapeutiche(www.dirittosanitario.net)

Doctornews n. 1005 11 luglio 2005
 

11/07/2005 - Oncologia
Carcinoma vaginale: PET superiore alla TAC
La PET con F-18 fluorodeossiglucosio (FDG) è superiore alla TAC nel rilevamento dei carcinomi vaginali primari e delle loro metastasi linfonodali. La FDG-PET costituisce la tecnica d'immagine di scelta in queste pazienti, e dovrebbe essere parte della loro valutazione di routine. I risultati del presente studio sono paragonabili a quelli osservati con altri tumori maligni ginecologici: la FDG-PET giunge a rilevare infatti il 100 percento dei tumori primari ed ad identificare il doppio dei linfonodi anomali rispetto alla TAC. Sono in progetto ulteriori studi per investigare l'uso della FDG-PET per la valutazione della risposta alla terapia, la sua capacità di prevedere la risposta clinica al trattamento e la sua possibile correlazione con le analisi bioptiche. (Int J Radiation Oncology Biol Phys 2005; 62: 733-7)

Doctornews n. 1005 11 luglio 2005
 

08/07/2005 - Cardiologia
Pressione ambulatoriale predittiva di mortalità cardiovascolare
La pressione misurata in sede ambulatoriale è migliore di quella misurata in sede clinica, e quella notturna è migliore di quella diurna, per la previsione della mortalità cardiovascolare nei pazienti ipertesi. Le prove del fatto che la misurazione ambulatoriale della pressione fornisca informazioni in più ed oltre quelle della misurazione convenzionale sono aumentate costantemente negli ultimi 25 anni, ma ciò nonostante vi erano finora dati prospettici insufficienti per dimostrare che un tipo di misurazione fosse superiore all'altro. La scusa secondo cui i costi della misurazione ambulatoriale ostacolino il suo uso di routine non può più essere invocata a fronte dei benefici comprovati della procedura. Ciò nonostante le attuali linee guida raccomandano generalmente la misurazione ambulatoriale sono in circostanze selezionate, come l'esclusione dell'ipertensione da camice bianco: le linee guida future dovranno risolvere questo problema. Tuttavia, l'applicazione della misurazione ambulatoriale in tutti i soggetti ipertesi è ancora prematura, ma dovrebbe essere presa in considerazione sempre di più, in particolare nei soggetti ipertesi non trattati nei quali la decisione sulla stratificazione del rischio e sull'inizio di un trattamento farmacologico è fondamentale. (Hypertension 2005; 46: 25-6 e 156-61)

Doctornews n. 998 8 luglio 2005
 

08/07/2005 - Ssn
Sanità, nel 2010 buco da 57 miliardi
Un buco di 57 miliardi di euro. E' il rischio che corrono le casse della sanita' italiana se non si metteranno in campo misure adeguate per 'curare' i conti della 'salute'. A lanciare l'allarme Guido Riva, presidente della Commissione sanita' di Confindustria, intervenuto ieri all'incontro sul ruolo della tecnologia biomedica in sanita', organizzato a Roma da Assobiomedica. ''Facendo i conti - ha spiegato Riva - negli ultimi 6-7 anni abbiamo avuto un disavanzo crescente, in media di 4 miliardi l'anno. Continuando con questo trend si arrivera' nel 2010 a un buco di 57 miliardi di euro''. La 'ricetta' di Confindustria e' la maggiore integrazione di pubblico-privato. ''Dobbiamo - ha aggiunto Riva - rendere possibile l'accesso al sistema di capitali privati. Il pubblico non ce la fa piu'. Non ci sono piu' risorse. A questo punto o 'tagliamo' il servizio o permettiamo l'ingresso ai privati che non devono essere considerati 'cani sciolti'. Devono lavorare, come gia' accade oggi in piccola parte, a un alto livello qualitativo''. Secondo Riva ''non e' chiaro perche' si debba ostacolare il privato mettendo a rischio la sopravvivenza del sistema''. Riva assicura che non c'e' nessuna volonta' di privatizzare la sanita' italiana. ''Respingiamo le accuse che vengono da molte parti politiche - ha concluso - sulle presunte intenzioni di privatizzare. Vogliamo solo integrare meglio pubblico-privato. Negli ultimi anni abbiamo dimostrato che siamo in grado di lavorare e offrire prestazioni di altissima qualita''.

Doctornews n. 998 8 luglio 2005
 

08/07/2005 - Medicina Interna
Integrazione proteine della soia riduce pressione
Integratori a base di proteine della soia possono ridurre in modo significativo la pressione nei pazienti ipertesi, ma raccomandarne l'uso sarebbe prematuro a causa delle prove ancora incomplete. Studi epidemiologici suggeriscono che l'assunzione di proteine vegetali è inversamente correlata alla pressione. L'effetto dei macronutrienti dietetici sulla pressione non è stato finora ben studiato, benchè le indagini cliniche indichino che le diete ricche in frutta, verdura e latticini magri e con riduzione dei grassi saturi e complessivi (dieta DASH) diminuisca la pressione. I dati del presente studio suggeriscono che l'aumento dell'assunzione di proteine della soia possa svolgere un ruolo importante nella prevenzione e nel trattamento dell'ipertensione. Vi sono comunque alcune prove di un'associazione fra proteine della soia ed aumento del rischio di tumore vescicale: ci si chiede pertanto se un prodotto a base di proteine vegetali miste produrrebbe gli stessi effetti antiipertensivi senza aumentare questo rischio. Prima di poter raccomandare i prodotti a base di soia all'ampia popolazione a rischio di ipertensione, sono dunque necessarie prove fondate dei loro benefici e della loro sicurezza. In ogni caso l'aumento dell'apporto proteico potrebbe provarsi salutare, e gli autori concordano con le attuali linee guida per il controllo pressorio che raccomandano diete ad elevato contenuto proteico totale, come la dieta DASH. (Ann Intern Med. 2005; 143: 1-9 e 74-5)

Doctornews n. 998 8 luglio 2005
 

08/07/2005 - Cardiologia
Infarto: trapianto mioblasti limita il danno
L'iniezione intracardiaca di mioblasti scheletrici autologhi è sicura e di beneficio nei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra post-infartuale. Alcuni studi hanno dimostrato l'efficacia dei trapianti di mioblasti scheletrici in congiunzione al bypass coronarico, ma la combinazione delle due procedure rende difficile la distinzione degli effetti di ciascuna di esse. Futuri studi sul trapianto cellulare in pazienti con insufficienza cardiaca post-infartuale dovranno essere focalizzati sui potenziali effetti aritmogenici della procedura. Nella presente casistica, comunque, il pronunciato miglioramento nella classe funzionale dell'insufficienza cardiaca e l'aumento solo limitato della frazione di eiezione suggeriscono un forte effetto placebo. Ciò nonostante, quanto rilevato giustifica ulteriori studi che sperimentino l'uso di un maggior numero di mioblasti. (Eur Heart J 2005; 26: 1188-95)

Doctornews n. 998 8 luglio 2005
 

07/07/2005 - Istituto Superiore di Sanità
Una banca per battere i germi resistenti
Una banca dati su tutti i batteri responsabili di gravi infezioni resistenti agli antibiotici. Uno strumento, il primo del genere in Europa, che permettera' ai medici italiani di 'battere' piu' rapidamente anche le infezioni piu' insidiose. E' uno dei risultati conclusivi dello studio 'Patologie Gravi e Farmacoresistenza', un progetto nazionale coordinato dall'Istituto superiore di Sanita' e co-finanziato dal ministero della Salute e dalla Pfizer Italia, che ha coinvolto 46 centri ospedalieri e universitari d'Italia, consentendo di isolare circa 6000 ceppi batterici e di studiarne per ognuno l'intero spettro di reazione agli antibiotici. Dall'indagine è emerso che oltre un quarto dei batteri responsabili di infezioni come setticemie, polmoniti, endocarditi, ascessi profondi e infezioni chirurgiche, sono resistenti ad uno o più antibiotici usati per curare tali malattie. In alcuni batteri, 'nemici' particolarmente insidiosi come lo Stafilococco, la resistenza alle penicilline ha raggiunto la soglia dell'80%, mentre nei reparti di terapia intensiva le resistenze agli antibiotici hanno superato il 90%. Da oggi pero' c'e' uno strumento in piu' a disposizione dei camici bianchi.. ''Ogni medico può, infatti, oggi mettersi in contatto con l'ospedale che ha partecipato allo studio nella propria area geografica - spiega Antonio Cassone - e acquisire le informazioni corrette sui batteri resistenti agli antibiotici per poter migliorare il proprio approccio terapeutico''. Il progetto ha scattato un'istantanea della situazione nei nostri ospedali. ''Circa un terzo di tutti i ceppi isolati di Enterobacter, uno degli agenti più comuni nelle sepsi ospedaliere, è resistente alle cefalosporine e ai fluorochinoloni - afferma il professor Giuseppe Nicoletti, ordinario di microbiologia dell'università di Catania - mentre in batteri come lo Stenotrophomonas e l'Acinetobacter, frequenti 'visitatori' dei reparti di terapia intensiva, la resistenza a penicilline, fluorochinoloni, e imipenem può arrivare a più del 90%''.
''Oggi che lo studio è concluso, il primo in Europa di questo genere e di queste proporzioni - afferma il presidente dell'Iss Enrico Garaci - possiamo offrire al Servizio sanitario italiano, con grande soddisfazione, uno strumento utile sia dal punto di vista terapeutico che per l'elaborazione di strategie di politica sanitaria''. Garaci ha ricordato che ''i risultati dello studio, durato ben due anni e nel quale sono stati investiti 2,5 milioni di euro, permettono di avere a disposizione uno strumento di controllo dell'antibiotico resistenza, che può far dimezzare i costi di questo tipo di infezioni, stimati intorno ai 200 milioni di euro l'anno in Italia. Per questo la collaborazione tra pubblico e privato - conclude - può rappresentare un valido contributo sia per la razionalizzazione della spesa sanitaria che per la tutela della salute pubblica''.
Obiettivi che la Pfizer, che ha co-finanziato il progetto, condivide, ''perché crede fortemente nella partnership dell'industria privata con le istituzioni e i vari interlocutori del mondo della salute'', ribadisce Marco Zibellini, direttore medico di Pfizer Italia. ''Ci occupiamo di ricerca clinica da oltre 150 anni - ha aggiunto - ma è diventato ormai per noi un impegno altrettanto imprescindibile dedicarci a studi finalizzati che forniscano alle istituzioni pubbliche strumenti per valutare interventi e scelte. In questa logica è nata l'adesione anche all'altro progetto promosso insieme al ministero della Salute e che entro fine anno fornirà una fotografia della condizione dell'anziano fragile. E non ci fermeremo a metà strada: Pfizer, infatti, intende proseguire nel suo sostegno al progetto di ricerca sulle infezioni batteriche anche per il prossimo biennio''.

Doctornews n. 994 7 luglio 2005
 

07/07/2005 - Diabetologia
Diabete: elevata l'incidenza dei tumori colorettali nell'uomo
Il diabete può aumentare il rischio di tumore colorettale quasi del 50 percento nel sesso maschile, il che suggerisce che questo tipo di tumori andrebbe incluso nel novero delle complicazioni del diabete. Alcuni degli studi epidemiologici in materia, ma non tutti, hanno rilevato un aumento del rischio di tumore colorettale nei soggetti diabetici: questo dato è stato confermato dal presente studio sia per quanto riguarda i tumori del colon che quelli del retto. Questi risultati supportano l'ipotesi secondo cui l'iperinsulinemia o i fattori legati alla resistenza all'insulina potrebbero svolgere un ruolo nell'eziologia del carcinoma del colon. (Diabetes Care 2005; 28: 1805-7)

Doctornews n. 994 7 luglio 2005
 

16/04/2005 - Quetiapina o rivastagmina?
I pazienti affetti da demenza spesso manifestano sintomi neuropsichiatrici. I farmaci antipsicotici sono comunemente prescritti a molte persone con demenza (sino al 45 per cento) in cliniche o residenze assistite, spesso per lunghi periodi. Gli antipsicotici hanno un’efficacia modesta, ma sono comunemente associati ad importanti effetti collaterali come sintomi extrapiramidali, discinesia tardiva, aritmie cardiache. Recentemente, è stato riportato un aumento di rischio di ictus in quei pazienti con demenza che assumevano i due antipsicotici più prescritti, il risperidone e l’olanzapina. Sfortunatamente non esistono studi controllati circa l’effetto della quetiapina nei pazienti con demenza, anche se un lavoro riporta alcuni benefici della quetiapina in quelli con agitazione fisica. Alcuni studi preliminari, anche se non confermati da studi clinici controllati, hanno riportato miglioramenti dell’agitazione con gli inibitori della colinesterasi.

Lo studio
L’obiettivo dello studio era di determinare l’efficacia rispettivamente della quetiapina e della rivastigmina per l’agitazione nelle persone affette da demenza ricoverate e di valutare questi trattamenti rispetto ad eventuali cambiamenti nelle capacità cognitive.
Lo studio, controllato, randomizzato e condotto in doppio cieco, ha coinvolto 93 pazienti affetti da Malattia di Alzheimer e che manifestavano uno stato di agitazione clinicamente significativa. I pazienti sono stati trattati con quetiapina (un antipsicotico), rivastigmina (un inibitore della colinesterasi) o placebo. Attraverso adatte scale di valutazione, l’agitazione e le capacità cognitive sono state misurate all’inizio del periodo di osservazione, a 6 ed a 26 settimane.

I risultati
In maniera randomizzata, sono stati assegnati 31 pazienti per ogni gruppo, 80 (86 per cento) dei quali hanno iniziato il trattamento (25 rivastigmina, 26 quetiapina e 29 placebo). 71 (89 per cento) hanno tollerato la dose massima di trattamento prevista dal protocollo (22 rivastigmina, 23 quetiapina, 26 placebo). Rispetto al placebo, nessuno dei gruppi ha mostrato differenze significative nel miglioramento dell’agitazione a 6 ed a 26 settimane. Per la quetiapina, il cambio di punteggio nella valutazione della grave disabilità cognitiva è stato valutato in una media di – 14,6 punti (IC 95 per cento, intervallo da -25,3 a -4,0) in meno rispetto al gruppo trattato con placebo a sei settimane (P=0,009) e -15,4 punti (da -27,0 a -3,8) in meno alla 26 settimana (P=0,01). I corrispondenti cambiamenti con la rivastigmina erano di -3,5 punti (-13,1 a 6,2) alla sesta settimana (P=0,5) e -7,5 punti (-21,0 a 6,0) alla 26esima settimana (P=0,3).

Conclusioni
Né la quetiapina né la rivastigmina sono efficaci nel trattamento dell’agitazione nei pazienti affetti da demenza in regime di ricovero. Rispetto al placebo, la quetiapina è associata ad un significativo decadimento cognitivo.

Gabriele Sani
(Clive Ballard et al. Quetiapine and rivastigmine and cognitive decline in Alzheimer`s disease: randomised double blind placebo controlled trial. BMJ. 2005 Apr 16; 330 (7496):874)
 

19/02/2004 - L’iperattività del sistema nervoso simpatico....
CORRIERE MEDICO

Milano, 19 FEBBRAIO 2004
FABIO FIORAVANTI
L’iperattività del sistema nervoso simpatico è ormai riconosciuta come uno dei fattori responsabili dell'elevazione pressoria e del suo mantenimento. «A sostegno di questa tesi — spiega Giuseppe Mancia, università di Milano-Bicocca - disponiamo ormai di dati ricavati da studi sugli animali e sugli uomini. In più, le ricerche hanno dimostrato che l'iperattività simpatica accelera il danno d'organo: facilita l'ispessimento del cuore, danneggia le arterie, rende i vasi arteriosi più rigidi».
L'interesse dei clinici è ora ulteriormente stimolato dall'avvento di una nuova classe di farmaci antipertensivi, gli agonisti selettivi del recettore imidazolinico (Sira), il cui capostipite, moxonidina, è attualmente inserito in fascia A.
[Si tratta del FISIOTENS (SOLVAY), in compresse da 0,2 - 0,3- 0,4 mg da usarsi in dosi da 0,2 - 0,4 monodose/die o 0,6 mg/die in 2 volte]
«Anche quando utilizziamo un alfa-bloccante o un farmaco ad azione centrale interveniamo sul simpatico: la novità dei Sira risiede nel miglior profilo di tollerabilità rispetto alle molecole precedenti», continua Mancia.





Obesità e scompenso cardiaco
«Le cose stanno in questo modo: riscontriamo un aumento dell'attività simpatica negli ipertesi e negli obesi. Quando le due condizioni si osservano nello stesso paziente, un'evenienza peraltro assai comune, l'iperattività è ancora maggiore. Riducendo il peso corporeo si ottiene anche una riduzione dell'attività simpatica. Ma non solo: sappiamo ormai con certezza che l'attività simpatica è un fattore prognostico nello scompenso cardiaco: quanto più è elevata, tanto maggiore è il rischio di mortalità. E in generale i pazienti ipertesi, obesi e scompensati mostrano un'iperattività superiore agli scompensati normotesi».
Non c'è accordo sui meccanismi responsabili dell'iperattività simpatica nell'ipertensione, ricorda il clinico milanese: si è parlato di un aumentato drive ipotalamico, dell'incapacità dei recettori cardiopolmonari di inibire il traffico simpatico, oppure della maggiore produzione di angiotensina II e insulina.
Un circolo vizioso: l'iperattività simpatica cronica può portare ad insulinoresistenza e iperinsulinemia compensatoria che a loro volta alimentano l'iperattività simpatica. Si tratta di un dato ormai acquisito: l'insulino-resistenza è progressivamente maggiore in relazione alla gravita dell'ipertensione e a parità di valori pressori risulta più alta nelle persone in sovrappeso rispetto ai pazienti normopeso.
L'insulino-resistenza, inoltre, è implicata nel peggioramento di altri fattori di rischio cardiovascolari, come l'alterazione del profilo lipidico.

Scelte a misura di paziente
«Per ora - continua Mancia - non disponiamo di un metodo semplice per misurare l'attività simpatica a livello ambulatoriale ma i Sira vanno ad arricchire l'offerta di farmaci antipertensivi tra cui scegliere il principio attivo più adatto al singolo paziente»: tra i fattori da prendere in considerazione, l'insulino-resistenza, l'obesità e il rischio di danno d'organo.